Tijuana

di Raul Cardenas Osuna and Torolab

Raul Cardenas Osuna e Torolab A Tijuana, sul Boulevard Agua Caliente l’ingorgo del traffico è lungo parecchie miglia. Gli automobilisti sono in attesa di attraversare la frontiera verso gli Stati Uniti. Dall’altra parte della strada, fiancheggiata da palme, non c’è molto traffico. Raul Cardenas Osuna ingrana la marcia e accelera per superare un furgone. Il designer e architetto fa dei cenni verso un grande edificio sferico che presto scompare dallo specchietto retrovisore: ‘disegnato da un architetto messicano e ispirato da Le Courbusier. Indica poi altri palazzi lungo la strada trasformando questo viaggio in un inaspettato tour architettonico ad alta velocità. Raul guida sopra pensiero come fa chi guida nella propria città, anche se per Raul le corsie e le indicazioni stradali non sembrano obbligatorie. Finalmente si ferma sul Boulevard sul lato opposto dell’arena per le corride. La grande costruzione fatta di impalcature e di lamiere ondulate da l’impressione di dover crollare da un momento all’altro. “Questa, per me, è Tijuana”, dice Raul guardando l’arena. Fu costruita provvisoriamente una ventina d’anni fa. Oggi, quando la gente vi entra si fa il segno della croce perché tutti hanno paura che crolli. La struttura non doveva restare in piedi così a lungo, ma è un po’ come Tijuana: qui tutto ciò che è provvisorio diventa definitivo”.
Un tempo la città era prospera grazie al proibizionismo, oggi la gente arriva a Tijuana dall’America Latina e da altre parti del Messico in numero così elevato (attualmente la popolazione della città aumenta del 14 per cento ogni anno) che la città ha il maggior tasso di espansione mondiale. Molti arrivano a Tijuana credendo anco-ra nel mito, che ancora sussiste, che Tijuana sia un facile punto di partenza per entrare illegalmente negli Stati Uniti, ma i nuovi arrivati scoprono ben presto che non è così, dato che il 98% delle US Border Patrol, la polizia di frontiera statunitense, è dislocata a San Ysidro. Spesi ormai tutti i risparmi per giungere fino a lì e incapaci di trovare una casa, molti immigrati si costruiscono un alloggio sulle colline e vanno a lavorare nelle ‘maquiladoras’, imprese gestite da aziende di tutto il mondo che approfittano dei vantaggi che Tijuana offre in quanto zona franca industriale. Arrivati in città di passaggio, gli immigrati in realtà trovano presto una casa ed una occupazione. Per Raul Cardenas Osuna capire a fondo questa attrazione magnetica che la città esercita sui residenti e sui nuovi arrivati è essenziale per la sua arte. Per molti versi Tijuana è il futuro. I governi di tutto il mondo sono ben lontani dall’immaginare i problemi sociali e la scarsità delle risorse che a Tijuana sono invece all’ordine del giorno. Le pressioni socio-economiche esercitate sulla città e sui suoi abitanti sono enormi. Il problema alloggi, ad esempio: la discrepanza tra alloggi disponibili e numero di residenti è di circa un milione di case. In alcune aree della città le famiglie hanno aspettato dieci anni prima di ottenere i servizi pubblici. Sono queste le sfide che Raul affronta con le sue opere, ciò che lui stesso definisce “arte propositiva”. Liberato dall’arte della protesta che è divenuta la reazione standard del mondo artistico nei confronti delle zone di confine, Raul ha sviluppato progetti ispirati ed adattati alla vita di Tijuana. “Il mio lavoro si concentra sulla qualità della vita. Questo è ciò di cui la gente di Tijuana ha bisogno”, spiega Raul. Recentemente le sue opere hanno attratto l’attenzione anche fuori dalla sua città. I suoi lavori sono stati esposti in musei e gallerie in America Settentrionale ed in Europa e la sua produzione di abbigliamento è distribuita attraverso numerosi canali di distribuzione, mentre le sue opere sono state acquistate da persone come Peter Gabriel e David Bowie. Nel 1995 Raul fondò Torolab. Il laboratorio è diventato un’efficiente struttura per le sue collaborazioni multidisciplinari.
Uno dei primi lavori di Torolab fu la raccolta di documentazione sull’architettura delle abitazioni più povere della città, costruite sulle colline attorno a Tijuana. Queste comunità collinari sono cresciute e si sono sempre più radicate con il passare degli anni. Inizialmente rappresentavano una soluzione per chi non poteva permettersi o semplicemente non riusciva a trovare un alloggio. I primi insediamenti risalgono a quindici o venti anni fa. I residenti hanno ricavato gli alloggi da vecchie porte di garage, hanno usato tronchi d’albero dipingendoli di tutti i colori e dando vita a questo strano mosaico, svincolato da qualsiasi forma di pianificazione o di regolamentazione urbana. Il che non significa, però, che non si siano sviluppati alcuni aspetti particolari. Nelle aree comuni sono stati piantati alberi e realizzati giardini; un sistema di scale e di passaggi sopraelevati rende più facile salire sulle ripide colline. In uno di questi passaggi alcuni vecchi pneumatici affondati nella terra formano una graziosa scala a curve. Raul e la sua socia, Marcela Cardenas studiano i sistemi di riciclaggio che gli squatter utilizzano per i materiali e gli oggetti abbandonati.
Il loro lavoro ha incontrato notevoli difficoltà. “Gli abitanti proteggono la loro comunità. Per poter utilizzare le macchine fotografiche abbiamo dovuto nasconderle, dopo che ci avevano minacciato con i fucili”.
Il primo passo per sviluppare un’architettura adatta alla vita di Tijuana consiste nel raccogliere una documentazione su queste misere baraccopoli. Traendo ispirazione da questa documentazione Raul ha creato S.O.S., uno zaino che si apre trasformandosi in un rifugio provvisorio. Poi, per mimetizzarlo, ha decorato la struttura con varie pubblicità, tipiche dell’ambiente urbano come il fogliame nella foresta. La nostra frontiera verso il Sud è un posto inquietante – un purgatorio istituzionale dove le forze conservatrici e burocratiche della nostra società sono più visibili. Gli ufficiali dell’INS scrutano dall’alto delle loro comode postazioni la lunga fila implorante, come principi annoiati. Andando verso sud, al chilometro zero della l-5, si leggono alcuni cartelli che invitano alla “prudenza” subito trasformati in “prohibido” in lingua spagnola che preannuncia la risoluta realtà politica a cui si va incontro. A Tijuana la frontiera è una presenza costante. Tijuana è probabilmente l’unica città al mondo che volta le spalle alla spiaggia, all’oceano. Tutte le strade indicano il confine. È probabile che a Tijuana alcuni abitanti non sappiano neanche che la città è sull’oceano. Una delle ultime realizzazioni di Raul pone la frontiera come punto focale.
“Il Vertex” è una passerella progettata per oltrepassare qualsiasi muro di confine – una sorta di mercatino di frontiera. La struttura può essere trasportata con un camion da un posto all’altro lungo i confini tra Stati Uni-ti- Messico o in qualsiasi altra parte del mondo. Il corri-doio centrale del Vertex viene posto in equilibrio sul muro, indi ancorato con delle cinghie per stabilizzarlo. L’effetto finale è quello di una stazione spaziale stile “Japanime” Il progetto di Raul tiene conto dei problemi della sicurezza e permette il libero scambio delle informazioni da un ver-sante all’altro. I dispositivi di controllo diventano anche mezzi di comunicazione. Man mano che gli oggetti vengo-no sottoposti alla scansione, le immagini a raggi-X appaio-no sui lati della passerella come cartelloni pubblicitari. Schermi giganti in funzione su entrambi i versanti del “Vertex” consentono a familiari e amici di scambiarsi immagi-ni e testi senza dover attraversare fisicamente la frontiera. Un modello in scala del “Vertex” si trova al Centro Culturale di Tijuana. Quattro proiettori proiettano immagini diverse su alcuni pannelli, creando quegli schermi giganti previsti nella realtà. Attualmente il “Vertex” esiste solo come realizzazione CAD, oltre al modello architettonico in scala, ed è improbabile un suo sviluppo in un prossimo futuro. Un “Vertex” vero e proprio infrangerebbe numerose leggi federali degli Stati Uniti, inclusa la trasmissione controllata di informazioni attraverso i confini internazionali. Raul sa che il “Vertex” non potrà mai essere realizzato. Ed è proprio questo il suo messaggio. “Sia il presidente degli Stati Uniti che il presidente del Messico dovrebbero dare la loro approvazione: ‘Costruiscilo’, il che non avverrà mai. “Questo è proprio quello che voglio che la gente pensi”, dice Raul.
La sera Raul sale in automobile sulle colline di Agua Caliente. In lontananza le luci tremolanti di Tijuana e di San Diego brillano come riflesse su una superficie d’acqua. È impossibile dire dove incominci una città e dove finisca l’altra. I fari degli elicotteri, sospesi come tante astronavi sopra il confine, si vedono a distanza di chilometri. Raul tace davanti all’insolito e affascinante panorama sotto di lui.