L'installazione come macchina territoriale

di Yorghos Tzirtzilakis

Verso una condizione post-pianificata degli oggetti

Lo spazio "post-designed" come una macchina espansa.
Potrebbe esserci una caratteristica predominante in tutte le rappresentazioni di arte, non solo negli spazi delle mostre tipiche e protette di arte contemporanea ma anche nelle sue rappresentazioni pubbliche non convenzionali (1). Al fine di rispondere a questo quesito dobbiamo tornare all'attuale significato del termine "installazione".
- Per la verità il mondo dell'arte è stato inondato da installazioni che riarticolano l'architettura e i modi di leggere la città contemporanea "nell'era della condizione postmedium" (2). I primi esempi di installazione risalgono alla prima metà del ventesimo secolo e raggiunsero una posizione dominante negli anni sessanta, ma in anni più recenti sono entrati in una traiettoria di diffusione frenetica. Il soggetto sul quale le discussioni fioriscono e si moltiplicano è già descritto in una voluminosa bibliografia. Ancor più di quanto suggerisce la loro proliferazione, le installazioni hanno cambiato le nostre idee su tutte le forme di arte incorporando in modelli, pratiche culturali, forme locali di espressione, elaborazioni collegate e tecnologie immateriali, la corporeità del corpo, le nozioni di mobilità e comunità, le diverse versioni dell'abitare, i travagliati confini tra spazio pubblico e privato e molte altre cose. Lo stesso locus dell'installazione emerge come un importante elemento di differenziazione.
Tale priorità è collegata alla rivalutazione dello spazio nel pensiero critico contemporaneo, lo sviluppo di ermeneutiche topografiche e in gran parte all'enfasi sulla topografia. L'attuale transizione dalla storia alla geografia e dal tempo allo spazio significa - come Frederic Jameson sostiene - la transizione dall'imperialismo alla globalizzazione. Questo è certamente un fenomeno di termini stimolanti ambivalenti e talvolta arbitrari sul quale l'attenzione e il dibattito sulle installazioni tende a servire come un campo artistico ideale. Tutti i frammenti tematici che circolano nel pensiero politico, nella tecnoscienza, nella teoria urbanista, nella geografia, nell'antropologia o nell'etnologia, oltre che come una serie di cunei taglienti della critica sul mondo contemporaneo che passano attraverso il linguaggio artistico per divenire parte degli ingredienti che indicano un cambiamento più generale. L'attrazione inspiegabile delle installazioni si basa proprio sul fatto che esse funzionano come una metafora ideale della nostra reale condizione contraddittoria e il nostro rapporto con l'universo disordinato degli oggetti.
Naturalmente ciò non esaurisce la portata dei soggetti dai quali le installazioni sono ispirate; esso è soprattutto una questione di esperienza spaziale, confusione estetica e l'evento di esibire in sé, ciò che diventa la principale ricerca artistica. La richiesta di "partecipazione" si trasforma in un inestricabile e quasi ontologico elemento delle opere stesse che a loro volta servono come una specie di laboratorio sulle condizioni dello spazio pubblico e degli oggetti che ci circondano. Solo così le funzioni sociali dello spazio pubblico si concretizzano; uno spazio che costituisce nelle sue forme prive di controllo "postdesign" un folle paesaggio di accumuli frammentati e cavernosi, un "traffico" di condizioni e soprattutto una specie di "espansione" non produttiva, nel senso che Georges Bataille (3) ha dato alla parola.. Benché sembri paradossale, molte delle opere esibite nelle mostre si prefiggono l'obiettivo che noi già abbiamo: la città stessa e certi concetti abitativi. Oggi la città è dovunque eccetto nella pura pianificazione architettonica e urbanistica. Le varie pratiche artistiche sembrano contenere in maniera convincente il principio dell'incertezza, la supremazia del non definito, gli esempi di inventiva sociale, i fattori di soggettività e di abiezione, tutti i generi di catalogazione e un sentimento esplorativo ispirato non dall'armonia ma dai contrasti, dalle tensioni, dalle discontinuità e dagli assemblaggi.
Questa tesi ci permette di rintracciare la formazione di un'espressività ambientale totalizzante, entro la quale l'arte contemporanea non descrive la città ma neppure riproduce qualcosa di immaginario o di irreale, proprio perché è coinvolta nella formazione e nell'organizzazione della realtà. Le mostre di arte contemporanea si mescolano con la vaga topografia "post-pianificata" dell'ambiente metropolitano e ciò fa scattare il nostro sguardo e una relativa serie di esperienze. Questa è una correlazione stimolante tra le mostre d'arte e l'ambiente urbanistico. Avendo per decine di anni sottoposto il nostro sguardo a una specie di operazione chirurgica collettiva, le mostre di oggi ci inducono a credere che non c'è nulla di più artistico delle città stesse. È straordinario: sono le città che ora appaiono come mostre diffuse di arte contemporanea, non il contrario.

L'unità abitativa come ultimo genere artistico
L'affermazione richiede qualche spiegazione sul concetto chiave di installazione. Questo strano complesso e disponibilità di video, oggetti di utilità, note, immagini fotocopiate, passaggi, superfici dipinte, testi, unità abitative, bricolage e tutti i generi di costruzione, relitti, materiali stratificati e sequenze metropolitane costituiscono una nuova specie artistica, o è forse la definizione ideale per le espressioni artistiche contemporanee, poiché tutte le precedenti varietà artistiche sono avulse dal territorio. Ora noi sappiamo che la nuova arte si sviluppa con tutte le forme autonome di espressione che una volta erano arte e determina così i suoi diversi generi. Gli oggetti di ogni giorno e gli assemblaggi vengono trasformati in scultura, i dipinti diventano ambiente, i video e la televisione si trasformano in una specie di "cinematografo esteso", la fotografia in dipinto, le installazioni in architettura, le azioni urbanistiche in psico-geografia e internet in tutto ciò che abbiamo detto.
Nel 1978 Rosalind Krauss parlava del "campo espanso"(4), ovvero la violazione dei confini e l'espansione delle discipline individuali al di là dei limiti stabiliti. Oggi, ci piaccia o no l'architettura, la pittura, la scultura, la fotografia, quelle che chiamiamo gli spettacoli artistici e l'arte di far muovere le immagini vengono condotte in uno stato di mutualità e di mescolanza rischiosa. Questa ipotesi posso anche esprimerla in un modo diverso: l'alloggio - che sembra essere l'unico elemento che connette tutte queste forme - emerge come l'ultimo genere artistico: tutto il resto viene cambiato e differenziato. Ora noi ci troviamo in quello che Henri Lefebvre (5), uno dei più importanti teorici della costruzione sociale dello spazio ha definito il regno degli spazi rappresentativi prodotti dalla cultura e allo stesso tempo nella rappresentazione dello spazio. Naturalmente non sto affermando che la purezza immacolata non sia desiderabile, tuttavia dobbiamo ammettere che nella nostra epoca essa non è necessariamente un vantaggio. Per esempio, la pratica dei Dj può essere vista come un esempio più convincente della nuova regola artistica che ricicla e mescola l'ipertesto artistico peculiare che noi riconosciamo nelle mostre, nei luoghi pubblici e nelle città. Il compositore di musica Hanns Eisler una volta espresse un aforisma pregnante che rimane valido in questo contesto: "Chi capisce soltanto la musica, non capisce niente". Stranamente, la lieve pratica dello Zen porta alla stessa conclusione: quando vediamo parte della luna attraverso una nuvola, un albero o un arbusto noi percepiamo la sua forma sferica. Ma quando vediamo la luna per intero non percepiamo questa forma sferica nello stesso modo. Io spero che queste tesi non siano prive di significato ma che diano qualche idea dei cambiamenti che stanno avvenendo sulla questione che stiamo discutendo. Per la verità l'installazione è riuscita a incorporare una serie di cambiamenti che circolavano isolati per decenni. Uno può ben chiedersi: è possibile che la pittura pura, la scultura pura o l'architettura, la pianificazione pura non esistano più, ma forse si fondano l'una nell'altra? Certo che no. Eppure io temo che la pura condizione delle arti - quando e dove essa esista - dimostri spesso di essere inerte e introversa. Ecco perché abbiamo bisogno di osservare senza pregiudizi il panorama proposto da queste nuove forme di creatività, usandolo come un prisma. È l'unico modo con il quale si possono penetrare tutte le espressioni artistiche della nostra epoca, o, per parlare chiaro, tutte le maggiori opere senza eccezione.

Il ready-made come strategia
Oggi, sia l'arte che l'architettura appaiono come una forma di generico ready-made, che si autodefinisce e viene accettato soprattutto attraverso il peso della sua presenza. Questo è un fenomeno culturale molto più ampio che la mitizzata "teatralità" o la "esteticalizzazione" in base alle quali eravamo soliti discutere.
Parlando in termini storici il cambiamento critico apportato dal ready-made sta nella differenziazione dell'interesse dalla "rappresentazione" alla "presentazione" della realtà attraverso oggetti specifici. In questo senso le installazioni rappresentano un alto livello nella tradizione narrativa del ready-made, esattamente perché trattano gli oggetti come unità di significati. Come sappiamo la potenza del ready-made si trova nella sua capacità di significato e reversibilità in quello che Marcel Duchamp descriveva come la "nuova visione" e la "nuova idea" mediante alcuni oggetti dall'apparenza familiare. Il territorio avulso che diventa il regno dell'immaginario e dell'esibizione è ovvio: il ready-made come strategia oppone la non reversibilità della forma come destino. L'ascendenza della forma gerarchizzata lascia il posto al dominio dell'azione e della selezione e tutti i sistemi della forma cambiano direzione a favore della "nuova visione" e della "nuova idea". Ma Duchamp che cosa ci ha insegnato soprattutto? Che la personalità e l'intento artistico non precedono l'esperienza; essi ci arrivano attraverso l'esperienza. L'esibizione come un fatto, un sé stesso e la rivalutazione dell'esperienza emergono come elementi decisivi
Le molteplici relazioni di spazio, opera d'arte e l'occhio ricorrono spesso come il centro del pensiero di Duchamp. Nel 1938 all'Esposizione Internazionale del Surrealismo a Parigi, Duchamp mise in piedi una Grotta centrale con sacchi di carbone sul soffitto e porte girevoli come divisioni - uno spazio confinato nel quale la legge di gravità appariva pericolosamente abolita. Alla mostra "Prime carte del Surrealismo" (1942) a New York l'accesso alle opere d'arte era ostacolato da un immenso numero di fili tesi - una specie di ragnatela o una disposizione simile ai neuroni - attraverso la sala. Questo evento può essere descritto come una delle prime installazioni: uno spazio surreale ancorato saldamente all'opera d'arte. Duchamp tuttavia era coinvolto in un altro progetto che ci permette una prospettiva più ampia: il Museo d'Arte per questo secolo della Peggy Guggenheim disegnato dall'architetto Fredric Kiesler. Fu Kiesler ad ampliare il significato di questa retromarcia ponendo la materia in un modo più chiaro: il fine del progetto era di "dissolvere la barriera e la dualità artificiale di "visione" e "realtà, "immagine" e "ambiente"… ove nella cornice lo spettatore riconosceva la sua azione di vedere, o di ricevere come una partecipazione nel processo creativo non meno essenziale e diretto che l'artista stesso (6).

L'arte dello spazio sociale come l'allenamento del pugile
Oggi l'azione artistica stessa è sempre più associata - se non addirittura parificata - con l'evento della mostra. Le implicazione di ciò sono molteplici e tra esse la più importante è l'indiscutibile supremazia delle installazioni. Se dovessi definire questo fenomeno direi che una installazione é una disposizione spaziale del materiale visivo che si trova tra ciò che vediamo come arte e architettura. L'invenzione stessa e la susseguente proliferazione delle installazioni derivò dall'eccesso di mostre e l'ascendenza del principio della visibilità imposto dai media.
Si possono tracciare le origini di questo fenomeno tra il secondo e il terzo decennio del ventesimo secolo. Per l'esattezza potremmo citare almeno tre artisti che ebbero un ruolo chiave nell'invenzione delle installazioni, annullando i confini tra lo spazio della mostra e l'autonomia dell'oggetto in mostra: Giacomo Balla con il suo "Progetto di Arredamento Futurista" (1918), la mostra di Ivan Puni alla galleria d'arte Sturm a Berlino (1921) e il "Proun" che El Lissitzky ha esibito nella stessa città (1923). In questi tre casi le pareti non erano più inerti o uno sfondo, superfici neutre per appendere le opere d'arte; esse divenivano parte di un'opera più vasta di arte ambientale. Lissitzky estese il campo attivo a tutte e sei le superfici (pavimento, soffitto e le quattro pareti), alle quali Puni aggiunse le porte e le finestre con una serie di stampe. Segni declamatori, simboli grafici e testo sono anche prominenti nei padiglioni mobili o pieghevoli delle pubbliche attività e propaganda ("Agitprop") sviluppati da artisti dell'Avanguardia Russa oltre che negli studi della Bauhaus. L'ultimo direttore di quell'accademia Hannes Meyer presentò nel 1926 - lo stesso anno in cui Lissitzky ha messo in mostra la prima versione della sua "Stanza di dimostrazione" - la "Co-op Zimmer", un esempio estremo di installazione architettonica. Era una sala con pareti fatte di tela bianca fornita di due sedie apribili, una culla che si reggeva su gambe di forma conica (in modo che l'aria poteva circolare sotto di essa), un ripiano con prodotti alimentari uniformemente impacchettati e un fonografo disposto su una tavola metallica pieghevole. Questo è lo spazio ascetico e mobile per i "semi-nomadi" del "Mondo Nuovo" che trasforma radicalmente le forme tradizionali di abitazione. Ciò che è della massima importanza qui sono quei particolari oggetti mobili che fanno tornare alla correlazione tra il progetto e l'oggetto, l'utopia e la rappresentazione, visione e realtà. Era l'oggetto che faceva posto all'idea che l'architetto chiama "un diagramma del presente". La "Co-op Zimmer" di Meyer riflette un desiderio di rimuovere il conflitto tra la rappresentazione e l'oggetto, tra progetto e oggetto che oggi è diventato dominante. Tale prossimità tra questi due concetti non è casuale; essa è voluta e assume il carattere di una destinazione. Non è difficile comprendere che tutti questi ambienti della diffusione modernista differiscono sia dalla architettura interiore che dalla pittura e dalla scultura tradizionali. Infatti, le installazioni cominciarono come un infinito tessuto di immagini, forme e stimoli sensoriali alla ricerca dell'elusivo. In altre parole, esse hanno rimediato a ciò che sembrava già ovvio: il carattere frammentario, le contraddizioni e le tendenze escapiste di ogni campo e disciplina.
Che lo si ammetta o no, è stato in quel periodo che "Il campo espanso" apparve per la prima volta assieme allo stress per la nostra separazione da ciò che abitualmente consideravamo come arte e architettura. Lo spettatore ora assume un ruolo diverso: "per prima cosa" egli percepisce i diversi elementi dell'installazione come un ambiente uniforme; "in secondo luogo" egli capisce che qualsiasi spostamento della sua posizione cambia il modo di comportarsi dell'opera e come viene percepita. Vale la pena far notare che questa coincidenza storica cruciale di modernità riflette i successivi cambiamenti nel significato artistico e architettonico: l'avvento delle installazioni coincise con l'istituzione delle più importanti mostre di arte moderna e la trasformazione del concetto del museo e dello spazio pubblico. Dopo di ciò questi elementi convergevano e si compenetravano l'uno con l'altro obbligandoci a compiere alcuni riesami. Ciò avvenne in modo naturale dopo così tanti anni che la proliferazione delle mostre affermava la supremazia delle caratteristiche effimere dell'evento artistico e in questo modo metteva in pericolo le basi dell'architettura e dell'arte: la loro "durata". Tutte le innovazioni tecnologiche successive intensificarono questa convergenza frenetica e mescolanza di specie, abolendo in pratica le distinzioni fra le singole forme e l'ambiente. La stessa logica delle installazioni sembra in qualche modo simile al modo in cui la realtà è organizzata. Può darsi che le città abbiano preceduto le installazioni e le immagini, ma ora esse sono formate in congiunzione con loro.
Come sappiamo, le installazioni (7) hanno raggiunto il loro culmine negli anni sessanta. Certi artisti del Post-Minimalismo, il Fluxus, l'Happening e i Situazionisti Internazionali hanno messo in moto in un modo quasi istintivo una serie di funzioni sociali nello spazio pubblico concentrandosi sulla materialità e sul comportamento del corpo e le nuove condizioni dell'esperienza. Ciò che si discute soprattutto è il monopolio dell'architettura dell'esperienza dello spazio, la degenerazione dei tipici spazi espositivi, la supremazia unilaterale della visibilità come dettati dai mass media e l'egemonia dello spettacolo. Da un lato attorno allo stesso periodo Marshall Mc Luhan sosteneva che gli ambienti multimediali possono insegnarci efficacemente una simbiosi più attiva con gli onnipotenti mezzi di comunicazione. Proprio come i pugili in allenamento, ci possono aiutare a imparare come "evitare il colpo facendo un passo indietro" invece di "pigliare il colpo sul mento". E quello era per la verità un campo cruciale ma negletto, che eventualmente fu ripreso da una considerevole sezione dell'arte contemporanea che è interessata nello spazio sociale.
Per tutte queste ragioni dobbiamo trattare le installazioni come un intreccio delirante di forze, letteralmente "un campo esteso" al di là dell'architettura, dell'arte e del suo spazio sacrosanto, nel rapporto degli oggetti con altri oggetti ed assemblaggi. Le installazioni ci spingono a leggere il mondo nuovamente con i suoi ingredienti e assemblaggi. Quindi esse stabilirono in un modo ottimale l'estensione di ciò che è soggettivo e dello spazio sociale. Karl Lowith, Gyorgy Lukàs e Guy Debord insistevano sul concetto marxista di alienazione che essi interpretavano come un punto al quale l'accumulazione dei mezzi di produzione non può controllare la "rivolta degli oggetti"; Manfredo Tafuri descriveva in uno dei suoi migliori e perspicaci testi (Progetto e Utopia), il blocco di questa "rivolta degli oggetti" nelle ricerche dei movimenti storici dell'avanguardia; Jean Baudrillard scrisse uno dei suoi primi e più noti libri, Il sistema degli oggetti, concentrandosi sulla critica culturale dei materiali nella società dei consumi e sugli aspetti funzionali, non funzionali, metafunzionali o "schizo-funzionali".
L'attuale ascendenza delle installazioni è un riconoscimento del fatto che l'architettura e l'arte, come la nostra società, necessitino di nuovi paradigmi per riallineare e riassemblare l'universo mutevole degli oggetti del "capitalismo mondiale integrato". Ciò dimostra che la società, l'arte e l'architettura devono riconoscere ed accettare modi diversi di vita, modelli di abitazione, condizione degli oggetti, cambiando le condizioni ambientali, "campi molecolari di sensibilità, intelligenza e desiderio" (8). Per questa ragione le installazioni non sono un fenomeno complementare al "sistema di oggetti" ma una parte organica di esso: un sistema di personalizzazione, differenziazione e appropriazione. L'installazione è "l'oggetto culturale" per eccellenza, che rivela una visione del mondo e una condizione dell'uomo. Questo è il momento in cui l'arte e l'architettura possono veramente diventare una "estensione dell'uomo".

1 Apart from the differentiation of exhibition types, I do not agree with the distinction of 'public art' from art in general, since the latter is associated with the "traffic" of discourse among the public (demos). In this sense art, even in its metaphysical versions, constitutes "sharing the secret with the public" and the community. As correctly pointed out by writer Evgenios Aranitsis (Vivliothiki/ Eleftherotypia Newspaper, 13-2- 2004) the Greek word for 'create', demiourgo, connects "the mystery of demiourgias (creation) with the work's presentation to the public, to demos". By using the English word 'create' -derived from the Sanskrit root -cer, which also gives our own words 'couros' [son], 'core' [daughter], etc. - "the cycle of creation comes back to the individual".
2 R. Krauss, "A Voyage on the North Sea." Art in the Age of Post-Medium Condition, London 1999
3 Georges Bataille, The Accursed Share. An Essay on General Economy. New York 1993.
4 R. Krauss, "Sculpture in the Expanded Field", The Originality of the Avant-Garde and Other Myths, Cambridge/ Massachusetts, London 1986, pp. 277-290.
5 H. Lefebvre, La production de l'espace, Paris 1974.
6 B. Altshuler, The Avant-Garde in Exhibition. New Art in the 20th Century, California 1994, p. 151. Kiesler introduced also the extraordinary concept of psycho-function: "Function and efficiency alone cannot create art works. "Psycho-function is that "surplus" above efficiency which may turn a functional solution into art" (F. Kiesler, Contemporary Art Applied to the Store and Its Display, New York 1930, p. 87)
7 See Benjamin Buchloh's rich and informative genealogy in "Cargo and Cult: The Displays of Thomas Hirschhorn", Artforum, November 2001.
8 F. Guattari, Les trois écologies, Paris 1989.