Vivere con il Settore Privato Alcune note sul quartiere di Pera a Istanbul

di Vasif Kortun

Il La maggior parte delle istituzioni di Istanbul che operano nei settori dell’arte e della cultura sono state ubicate sulla Avenue tra Taksim e Tünel e intorno ad essa. Il suo nome originale era Grande Rue de Péra, cambiato in "Avenue of Independence" successivamente alla costituzione della Repubblica di Turchia. La nostalgia per la Pera della fine del diciannovesimo secolo è rimasta nell’aria per decenni più o meno con le stesse sfumature. Pera, puro e semplice fantasma della cultura mercantile della fine del diciannovesimo secolo che colonizzò Istanbul, nonostante le sue popolazioni non musulmane in calo continuo, con i suoi resti architettonici e il suo retaggio spaziale storico, era un luogo in cui si poteva avvertire l’”europeità”. A partire dalla pedonalizzazione della Avenue alla fine degli anni ottanta, la "nostalgia per Pera" si è trasformata sempre più in uno strumento al servizio del business high-end.

Non sono stati inaspettati né il cambiamento di destinazione della galleria “street level” dell’Aksanat in un negozio di informatica, né la chiusura della Borusan Art Gallery nel 2006. Entrambi erano negozi d’arte contemporanea senza scopo di lucro, appartenenti a grandi società che non hanno ritenuto necessaria una consultazione con la sfera pubblica. Mentre il loro pubblico era furibondo, ho preferito dare un’occhiata al contesto delle chiusure, inserito nel processo di trasformazione della Avenue.

La nuova facciata imposta ad alcuni degli edifici che si affacciano sulla Avenue – inizialmente attraverso l’utilizzo di vetro e alluminio negli anni ottanta e successivamente attraverso una seconda nuova veste in stili “storici” di carattere generico - sono stati i primi tentativi di tematizzazione del luogo. L’edificio dell’Aksanat ne è una testimonianza, allo stesso modo del Beyoglu Business Center. Quasi una reminescenza dell’eleganza mitteleuropea, una finzione presa da poemi e da una letteratura nostalgica, la Markiz Patisserie che era stata chiusa per 25 anni, ha riaperto nel 2004 in pompa magna insieme a un mini centro commerciale con negozi in stile high-end nella sua parte posteriore. Questo “Peraismo di vetrine” utilizza stili storici e la nostalgia come uno strumento per sublimare il desiderio patetico di acquisire classe non solo a Pera, ma anche nei cosiddetti programmi di restauro sulla penisola storica. Ciò è particolarmente evidente nell’area di Süleymaniye, dove uno stile architettonico “alto-ottomano” inventato è stato applicato alla superficie di edifici in calcestruzzo. Lo stesso stile richiede che le comunità povere e indesiderate vengano buttate fuori a calci e sostituite da coloro che si “meritano” e apprezzano l’”ottomanomania”. La capitale e le agenzie amministrative della città hanno indossato i loro guanti di velluto e stanno preparando la città per la grande vendita. Il Master Plan della città conferisce pieno potere al settore privato e ai suoi interessi commerciali.

Una barriera avanza tra le due parti della Tarlabasi Avenue. Essa ebbe origine quando il sindaco di Istanbul vi mandò i bulldozer per fare di una strada ristretta un ampio viale che collegava il centro di Taksim alla città vecchia. Il viale divideva in due una comunità. Da un lato si trovava la Pera prosperosa e non trafficata, e dall’altro Tarlabasi perennemente debilitante e insostenibile, con le sue comunità povere di immigranti curdi e nigeriani, i dormitori per soli uomini, i rumeni e via dicendo. Quindici anni di sottosviluppo “forzato” sono stati ora sostituiti da un programma di recupero per l’evacuazione degli indesiderati attraverso un violento processo di gentrificazione mirato a lasciare il posto a nuove imprese e a nuove aree residenziali.

Due anni fa ho dichiarato che quei centri d’arte bollati come spazi pubblici – anche se possono essere stati supportati privatamente – verranno accompagnati fuori dalla Avenue [zona di Pera] per essere sostituiti da sfavillanti gallerie commerciali e centri culturali adibiti a show room. Ciononostante, i valori immobiliari sono aumentati in modo tale che quest’area sembra ora sottoposta a un massiccio risanamento che esclude completamente la possibilità di centri culturali. Uno dopo l’altro, gli scalcinati casinò e i night club/bordelli stanno venendo dislocati in un altro distretto non musulmano, l’area Pangalti/Kurtulus, mentre al loro posto sorge un’industria di intrattenimento pulita e chic provvista di parcheggiatori e custodi.

"Pera" sta diventando un immenso centro commerciale, una zona ad “attrito zero”. È certamente possibile ipotizzare che mentre il valore economico va alle stelle, anche le strade laterali adotteranno lo stile high-end al variare della clientela. Non vedremo più ragazzine che si tirano su la gonna di qualche centimetro mentre entrano a "Pera." I punk, i metallari, le dark, i drogati e i marinatori di scuola, chiunque venga qui per fare o indossare ciò che gli è vietato nel proprio quartiere si ritireranno nel loro guscio. Dai travestiti alla Istanbul Bar Association, dai maoisti e dal PKK, la libertà di parola alla quale veniva tanto associata la Avenue sta ora passando nella mani dei magafoni delle società ammiraglie dei marchi multinazionali. Proteste e marce stanno diventando sempre più rari. Sono già passati tre anni dalla “Saturday Mothers”.

"Pera" è stata uno spazio pubblico molto più estremo rispetto ai centri di Bakirköy, Kadiköy e Besiktas. È stata il rifugio dei “diversi” indesiderati. In nessun altro posto sulla terra è possibile imbattersi in una scala tanto intensa e concentrata di istituzioni culturali e di diversificazione economica su una strada detrafficata. Era un luogo in cui le economie erano radicalmente diversificate. Tuttavia, ogni giorno una teleria, uno studio fotografico, una sartoria, un’impresa di pompe funebri o una piccola stamperia se ne vanno, mentre al loro posto vanno ad insediarsi centri commerciali o grandi magazzini di marchi multinazionali. Questo fenomeno contribuisce altresì a trasformare il profilo dei frequentatori della Avenue. Parallelamente a questa modifica si è verificata una trasformazione radicale della funzione dei controversi istituti d’arte esistenti, la cui clientela non è formata da professionisti. Pochi istituti d’arte al mondo amano trattare con una audience mista, non composta da un pubblico borghese. Pur tuttavia era questo il vero potenziale che la Avenue offriva.

Per quanto riguarda me stesso, in qualità di gestore della Platform Garanti, un’istituzione “street-level”, è stato difficile disporre di una guardia in borghese, eliminare un servizio di sorveglianza continua e cancelli di sicurezza. Dal momento che l’audience era formata da persone di qualsiasi estrazione sociale, fiduciosi nei discorsi dell’arte contemporanea, abbiamo fatto del nostro meglio per eliminare la tensione tra l’interno e l’esterno. Dopo 5 anni di livelli di attesa con circa 100.000 visitatori all’anno, anche noi ci sposteremo per programmarci su un pubblico frammentato che costituirà la nostra vera audience fintanto che non ci troveremo impacciati a tale riguardo. Il passaggio ad uno spazio più ampio non deriva da una logica interna o da necessità istituzionali, ma dalla corporatizzazione complessiva del settore cultura a Istanbul.

Considerando i fatti da un’altra angolazione, si potrebbe dire che l’ingegneria sociale non sia forse mai riuscita così bene come ora ad utilizzare il singolo denominatore nazionale della banalità del populismo presentato come democrazia. Abbiamo ora la possibilità di scegliere lo stile dei nostri prossimi battelli navetta via internet e di partecipare a una personale dedicata a Picasso o ad un altro artista di spicco ai musei! L’arte e la cultura si sono impossessate di enormi cartelloni pubblicitari. La clientela è corporativa. Il pubblico viene sostituito dalla sua fantomatica rappresentazione sullo schermo e sui cartelloni pubblicitari. La penisola storica, trasformandosi in un parco a tema ad una velocità sempre crescente, è ora collegata a Pera per il potenziale di intrattenimento e di shopping della Avenue.

Dalle gallerie degli anni ottanta, i centri commerciali degli anni novanta, ai musei del 2000, il settore privato ha reinventato se stesso in misura crescente come un’istituzione gestita dai mass media che autoseleziona la propria audience. Se il settore pubblico non interverrà e queste istituzioni non si interfacceranno con potenziali audience, la corporatizzazione del settore cultura sarà completa.