Barcelona Going Public?

di Martí Peran

Barcellona fece la sua apparizione sull’atlante mondiale alla fine degli anni Ottanta, presentandosi ufficialmente al resto del mondo con i Giochi Olimpici del 1992. Il capitale di maggior valore della città era in quel momento il rinnovamento urbanistico che prese il nome di “Modello Barcellona”. In un periodo in cui le città contemporanee si espandevano seguendo principalmente il modello nordamericano con uno sviluppo urbanistico diffuso e a macchia d’olio, Barcellona rappresentava una alternativa su grande scala di conservazione di una città compatta, ricostruita e cucita attraverso interventi attenti alle necessità specifiche dei quartieri, con un interesse particolare per la creazione di spazio pubblico. O almeno queste erano le coordinate di segno positivo con le quali si meritò una generalizzata credibilità. Da allora, Barcellona continua a collezionare una serie di fratture urbanistiche e sociali, vivendo di rendita al riparo di questo decalogo felice. L’area metropolitana si sta trasformando in un suburbio senza fine, diversi processi di gentrificazione hanno rivoltato i vecchi quartieri della città, la memoria industriale è stata decapitata a favore di una promessa città-mediatica che non tarda ad arrivare e lo spazio pubblico subisce una privatizzazione galoppante, oltre a una stritolante regolamentazione delle libertà individuali e collettive. In realtà, nulla di nuovo. Barcellona non può più sottrarsi alle dinamiche imposte dal progresso nelle città dei paesi sviluppati.
L’ultima svolta di questa vera e propria trasformazione di Barcellona – il passaggio dal modello Barcellona alla marca Barcellona – è la trionfante conversione della città in una piazza turistica internazionale di primo ordine. Le cifre del 2005 sono abbastanza eloquenti: con una popolazione di 1.593.000 abitanti, Barcellona ha accolto nel corso dell’anno 5.061.000 turisti (il 50% di origine europea) per un totale di 10.941.579 pernottamenti. All’interno della molteplice offerta turistica della città, negli ultimi anni è aumentato il numero di scali effettuati da navi da crociera arrivando a 800 per anno, con 1.300.000 passeggeri che hanno trasformato Barcellona nella più recente e più brillante perla del Mediterráneo. Il 25 settembre 2006 il Porto di Barcellona ha toccato il record di 10 navi da crociera di grandi dimensioni in un solo giorno. Transatlantici come il Carnival Liberty o il Grand Princess hanno sbarcato in un solo giorno 3.300 passeggeri disposti a percorrere la shopping line cittadina anche solo per poche ore e per gli acquisti compulsivi di alcuni souvenir.
Il turismo ha garantito a Barcelona un profilo apparentemente cosmopolita, felice e multicolore; ma la città viene scossa anche da un’altra tipologia di stranieri. Nel gennaio 2006, la popolazione immigrante della città ha toccato la quota di 260.000 abitanti, senza contare gli irregolari. La situazione di questa comunità – per altri aspetti assolutamente eterogenea – si distingue totalmente dallo scenario rappresentato dalle masse di turisti. Quelli che ottengono un posto di lavoro svolgono i ruoli meno qualificati e, nella maggior parte dei casi, con situazione contrattuale irregolare. Tra l’altro, nonostante in molti casi gli immigrati lavorino in piccoli stabilimenti che sopravvivono grazie al turista medio, vivono invece nelle zone più degradate della città (Ciutat Vella, Sant Martí, Nou Barris) estranee al glamour delle vicine aree commerciali.
Tra la popolazione immigrante di Barcellona, la comunità di origine africana è costituita da circa 22.000 persone. Una cifra sicuramente inferiore al numero di immigrati di provenienza europea non-comunitaria e americana; ma soprattutto sconcertante se posta in relazione alle dimensioni del flusso migratorio illegale che si riversa giornalmente sulla costa sud della Spagna e sulle Isole Canarie, vera e propria porta d’ingresso al corridoio mediterraneo attraverso la quale il continente africano cerca di accedere al sogno europeo. L’unica spiegazione al numero esiguo di immigrati africani a Barcellona e in altre città spagnole rispetto alla dimensione dei movimenti migratori risiede nella dispersione di quelli che riescono a entrare in Europa e, soprattutto, nelle quantità elevate di reimpatrii o di reclusi in “centri di accoglienza”. Solo nelle prime tre settimane di settembre 2006, 7.500 “illegali” sono sbarcati sulle coste canarie e dal mese di gennaio ad ora sono stati reimpatriati 13.055 subsahariani. Barcellona è un’importante enclave turistica del Mediterraneo e, secondo alcune tesi, la più importante del territorio meridionale. Questo punto di vista, tuttavia, dimentica che l’autentica porta mediterranea, dove non gettano l’ancora navi da crociera ma si moltiplicano gommoni alla deriva, è più al sud, lì dove l’Europa discute sui modi di erigere un muro invalicabile. I progetti sviluppati a Barcellona per Going Public ‘06, vogliono mettere in gioco tutte queste questioni, sovrapponendo all’esame critico della condizione cittadina come felice porto turistico l’evocazione del vero e proprio sud del Mediterraneo, che a Barcellona compare solo in modo marginale.