Port City: Bristol

di Tom Trevor

La prima manifestazione di Port City Safari ha preso la forma di un grande progetto di arte contemporanea, che ha indagato le tematiche di mobilità e scambio nel contesto urbano di Bristol, in Gran Bretagna, dal settembre al novembre 2007. Inaugurato da Arnolfini, il centro per l’arte contemporanea situato nel ‘porto galleggiante’ (Floating Harbour) della città, Port City ha racchiuso una varietà di forme di espressione artistica, tra cui una mostra internazionale itinerante, un calendario di performance, interventi in situ, momenti di partecipazione e itinerari curati da artisti, un progetto on-line di scrittura, e la cura di un programma di proiezioni di film e video, così come di una serie di piattaforme per dibattiti e incontri critici. Port City ha visto la partecipazione di oltre quaranta artisti internazionali. Tre sono state le macro-aree di interesse prese in esame: il cambiamento globale delle dinamiche del commercio e il suo effetto sulle città portuali; le geografie culturali della globalizzazione e le nuove condizioni della mobilità nel mondo; e gli effetti perduranti - riprodotti nella cultura contemporanea - del commercio transatlantico degli schiavi.

Bristol è una piccola città portuale che sorge alla confluenza di due fiumi, l’Avon e il Frome, vicino all’apice del Bristol Channel, attraverso cui l’Atlantico si insinua in profondità nell’Inghilterra occidentale prima di continuare fino alle Midlands come fiume Severn. Le città portuali sono per definizione situate nel punto dove mare e terra si incontrano, a cavallo della soglia tra due stati fisici fondamentali. Non può esistere una forma lieve di trapasso, come una spiaggia, perché il porto deve portare l’acqua profonda fin nel cuore della città, permettendo un passaggio brusco e immediato tra la nave e la terra della banchina. L’Avon ha il secondo riflusso di marea al mondo, perciò il porto galleggiante fu costruito a inizio ‘800 per mantenere un livello d’acqua costante nel centro di Bristol. Così mantenere questa ‘differenza’ tra terra e mare è essenziale per la definizione stessa di “porto”.

Tradizionalmente le città portuali sono viste come sbocchi verso il mondo. Attraverso l’industria e il commercio rappresentano un punto di contatto e di scambio con paesi e culture differenti, facilitando il movimento di idee e persone, insieme allo scambio di beni e denaro. Tutto questo implica peraltro che le città portuali definiscono il limite esterno di ciò che è riferibile al concetto di ‘casa’, costituendo un confine astratto con il mondo esterno. In quanto tali, esse sono siti simbolici di scambio culturale. Punti di ingresso e di partenza, sono la bocca del corpo immaginario dello stato-nazione, dove l’estraneo si mischia con il familiare e le certezze racchiuse nella terra sono destabilizzate dagli scambi marittimi. Nella geografia della Gran Bretagna, Bristol è stata sempre vista come una città al margine, periferica rispetto al centro terrestre di governo localizzato a Londra. Sintomatica di questo spirito di indipendenza, e a dispetto di uno statuto che lo connota come ‘bandiera nazionale’ per le arti nel Regno Unito, l’attività di Arnolfini ha sempre teso in molti modi verso un quadro di riferimento più europeo che britannico.

La principale funzione di un porto è certamente il commercio, il profitto della compravendita; e il gioco degli interessi economici sottesi è fondamentale nelle interazioni umane informate da tali interessi. Con l’avvento della globalizzazione, gli interessi delle grandi imprese multinazionali si sono dissociati da quelli dei tradizionali stati-nazione. Dove prima il porto era letteralmente un punto di scambio tra ‘terre’ diverse, il capitale globale non presenta particolari fedeltà geografiche. Se città come Bristol sono cresciute storicamente intorno all’industria dei docks, i porti di oggi sono sempre più separati dai centri di attività culturale e in generale dalla vita delle nazioni. I terminal per i container sono stati periferizzati, diventando punti di interscambio messi in massima sicurezza, sigillati. La città portuale ha assunto un nuovo ruolo di interfaccia tra una ‘patria’ fisica dove risiedono i lavoratori e i consumatori, e la rete astratta di potere del capitalismo globale.

Nel caso di Bristol, un nuovo porto commerciale fu costruito sulla costa, allo sbocco del fiume presso Avonmouth, lontano dal centro città. Quando nel 1975 Arnolfini si trasferì nel vecchio magazzino del tè lungo il Narrow Quay, l’intero Floating Harbour, svuotato, era precipitato nel degrado, e la città tutta sembrava condannata alla prospettiva di un declino complessivo. Anche le principali attività industriali, il tabacco, le armi e l’aerospaziale erano arrugginite. Ciò che seguì fu una storia da manuale di rigenerazione portata dalla cultura, dove il centro moribondo riacquistò vita grazie al fiorire di un’economia della conoscenza, tanto che oggi Harbourside è diventato un fulcro di industrie della creatività e di organizzazioni culturali. Bristol ha oggi la produttività lorda più alta di tutte le città del Regno Unito dopo Londra.

Anche la scala della priorità data oggi alla gestione dell’immigrazione nelle città portuali è un sintomo della globalizzazione. Si potrebbe affermare che la cosiddetta ‘fortificazione’ dell’Europa in difesa di una supposta invasione di immigrati spinti da ragioni economche, abbia più a che fare con la ridefinizione di una identità europea, o di ‘patria’, che non con il pericolo reale della forza lavoro in arrivo. In effetti se i livelli di occupazione in Europa sono in declino è più probabile che, rispetto agli effetti dell’immigrazione, sia da chiamare in causa la rilocalizzazione delle attività manifatturiere in regioni più povere per assicurarsi la possibilità di basse retribuzioni. L’economia globalizzata ha prodotto nuove condizioni di mobilità, costringendo gli immigrati ad attraversare la Terra alla ricerca di un lavoro e del sogno di una vita migliore. E in questo processo le città portuali sono diventate i punti di transito, strettamente sorvegliati, di un flusso mondiale di umanità.

Uno dei principali precursori delle attuali condizioni dell’economia globale, in termini di delocalizzazione del lavoro, reimpianto delle attività produttive su scala mondiale, e sfruttamento delle risorse umane, è stato il commercio degli schiavi attraverso l’Atlantico. Nel 18° secolo, molto del benessere di Bristol aveva origine in questo mercato barbarico, che creava vaste fortune per un gruppo ristretto di mercanti e avventurieri mentre sottometteva molte centinaia di migliaia di africani schiavizzati a forme di crudeltà sconvolgenti e disumane. La grandeur georgiana di quartieri come Clifton testimonia degli enormi profitti ricavati dall’importazione di zucchero e spezie dalle Indie occidentali. Il commercio transatlantico degli schiavi fu in ultima istanza responsabile di milioni di morti. I suoi effetti perdurano evidenti, anche oggi, in atteggiamenti culturali contemporanei e nella disuguaglianza sociale nella divisione del potere, così come nella povertà delle nazioni africane.

Nel 2007 è caduto il duecentesimo anniversario dell’abolizione parlamentare del commercio di schiavi nel Regno Unito. Sarebbe però un errore pensare allo schiavismo semplicemente come ad un capitolo storicizzato. La schiavitù è ben presente oggi, sia in termini letterali che come lavoro a riscatto, lavoro infantile, lavoro domestico o di immigrati, traffico umano, matrimonio o lavoro forzato. Anti-Slavery International stima in almeno 27 milioni gli esseri umani attualmente in condizioni di schiavitù. Se intendiamo affrontare questioni come la schiavitù contemporanea o la migrazione forzata nel contesto della globalizzazione, allora è essenziale che ognuno di noi prenda coscienza delle proprie implicazioni nelle dinamiche storiche ed economiche di queste pratiche.

PORT CITY
On Mobility & Exchange
15 settembre – 11 novembre 2007, presso Arnolfini, Bristol, UK

Gli artisti comprendono MARIA THEREZA ALVES, DOA ALY, YTO BARRADA, URSULA BIEMANN, ALEX BRADLEY, KAYLE BRANDON, TIM BRENNAN, HEATH BUNTING, OFRI CNAANI , RAPHAEL CUOMO, CURIOUS, VALERIANO LOPEZ DOMINGUEZ, HALA ELKOUSSY, MARY EVANS, MESCHAC GABA, RAIMI GBADAMOSI, CHARLES HELLER, ROZA ILGEN, MARIA IORIO, MELANIE JACKSON, HARMINDER SINGH JUDGE, SHI KER, GRZEGORZ KLAMAN, ERIK VAN LIESHOUT, HELENA MALENO, ALEX MUNOZ, LA POCHA NOSTRA, JIVA PARTHIPAN, HETAIN PATEL, MARIA MAGDALENA CAMPOSPONS, WILLIAM POPE.L, KATE RICH, STEVE ROBINS, ANGELA SANDERS, ZINEB SEDIRA, ASIM RIZA SHAHEEN, DUNCAN SPEAKMAN, JENNY VOGEL, ZAFOS XAGORARIS

A cura di Tom Trevor (Arnolfini, Bristol), curatore associato Claudia Zanfi (aMAZElab, Milano); programma di proiezioni Mahgreb Connection curato da Ursula Biemann (Ginevra); programma di performance curato da Helen Cole (Arnolfini, Bristol)