Una memoria inquieta

di Claudio Silingardi

La Resistenza, in Italia, non ha mai ottenuto una convinta legittimazione istituzionale, ed un pieno ed effettivo riconoscimento come 'mito' fondativo della repubblica. Attorno alla sua memoria si sono consumati - e si consumano ancora - conflitti identitari, tentativi di riappropriazione del passato, progetti di costruzione del futuro. Alcune delle ragioni di questa memoria inquieta sono rintracciabili nello stesso evento Resistenza: un movimento che nasce dopo il crollo del regime fascista, e solo in una parte del paese, quindi impossibilitato ad incidere davvero in profondità rispetto ad un paese uscito da venti anni di dittatura. Un movimento che si ricollega alla lotta antifascista, che consente una straordinaria esperienza di confronto democratico tra i diversi partiti, ma che poi, nell'immediato dopoguerra, non riesce a portare a compimento un processo di epurazione e di trasformazione degli apparati statali.
In ogni caso, nei primi anni dopo la Liberazione lo spirito unitario della Resistenza ancora dispiega i suoi effetti. A partire dal 1948, e per buona parte degli anni Cinquanta, invece, le tensioni politiche e i conflitti sociali, in un quadro nazionale e internazionale segnato dal clima della guerra fredda, la memoria della Resistenza diviene parte integrante dello scontro in atto, venendo assunta come elemento identitario da una delle due parti in lotta, sia sul piano politico sia sul piano sociale. All'antifascismo spesso si sostituisce l'anticomunismo, e si dispiega un'ampia azione di repressione antipartigiana.
Solo alla fine degli anni Cinquanta, in una situazione da un lato di allentamento delle tensioni e delle contrapposizioni ideologiche, e di avvio dei processi di trasformazione sociale ed economica che incidono fortemente nei costumi e nelle condizioni di vita del paese, e dall'altro di nuovi scontri e proteste sociali per impedire uno spostamento a destra del governo del paese, si creano le condizioni per una ripresa di interesse verso la memoria della Resistenza, in particolare da parte di una nuova generazione di giovani, che va compiendo ora il proprio apprendistato antifascista.
Con l'avvicinarsi del Ventennale la Resistenza è finalmente assunta sul piano istituzionale come patrimonio del paese: è il momento della 'Repubblica nata dalla Resistenza', della riaffermazione dei legami tra Primo e Secondo Risorgimento. Ma il nuovo spirito unitario si traduce ben presto in iniziative retoriche e celebrative: nel momento in cui la Resistenza non è più taciuta, è però 'imbalsamata'.
Questa retorica della Resistenza è rifiutata dalle generazioni che irrompono nella politica a partire dal 1968. Da un lato si contesta una rappresentazione della Resistenza dalla quale sono espunti tutti i tratti conflittuali, dall'altro si lega questa esperienza storica ad un momento di forte conflitto sociale e di scontro politico, che vede succedersi rapidamente prima le stragi fasciste e poi la nascita del terrorismo rosso. Nel corso degli anni Settanta dunque la memoria della Resistenza si divarica: da un lato diventa paradigma e valore condiviso da molti cittadini - in un percorso che trova il suo momento di massimo compimento nell'elezione a presidente della Repubblica del partigiano Pertini - dall'altro diventa bagaglio identitario di una generazione che intende trasformare radicalmente la società in cui vive, e che rifiuta completamente.
Negli anni Ottanta inizia una erosione di queste rappresentazioni e di queste memorie: si deve fare i conti con i danni provocati dalla stagione del terrorismo rosso, dai cancelli della Fiat nel 1980 si apre una nuova stagione politica che vede la sinistra e il mondo del lavoro sulla difensiva, si fanno sempre più consistenti le voci tese a ridimensionare e a negare la centralità dell'evento Resistenza nella costruzione dell'identità della Repubblica. Questo processo è favorito sul finire del decennio e negli anni Novanta dalla crisi di legittimazione della democrazia italiana, seguita al crollo dei regimi comunisti, alla crisi del sistema partitico, all'insorgere di posizioni separatiste in alcune regioni del nord Italia.

Si apre una nuova fase, dove da un lato si imputa al modello ciellenistico la responsabilità della crisi del sistema politico italiano, dall'altro si sostiene la marginalità della lotta partigiana e, infine, si inizia lo 'sdoganamento' delle memorie fasciste. Di nuovo, la memoria della Resistenza e dell'antifascismo tornano ad essere elementi forti di una identità generazionale: l'arrivo al governo degli ex fascisti ha come risposta una riappropriazione della celebrazione del 25 aprile come messaggio di protesta. Un impegno che trova una sua forte rappresentazione in ambito musicale: decine di gruppi e di cantanti della galassia rock riprendono e rielaborano le canzoni o i valori della Resistenza, riproponendoli ed attualizzandoli: esempio emblematico rimane 'Bella ciao' cantata dai Modena City Ramblers sul palco di piazza san Giovanni a Roma in occasione dei concerti del Primo maggio.
Da questi rapidi accenni si capisce che non ha alcun fondamento la rappresentazione della memoria della Resistenza in questi sessant’anni come ‘vulgata resistenziale’, cioè come presenza in tutti questi decenni di un sistema rigido di trasmissione di questa storia, di una egemonia politico-culturale indiscutibile. In realtà lo svolgimento di questa memoria è avvenuta in modo non lineare, compiendo percorsi accidentati, e la riprova più evidente sono le difficoltà che viviamo oggi ad affermare la centralità di questo evento nella costruzione della Repubblica italiana. Il problema è che la Resistenza non è facile da ingabbiare: se è stata fondamento della Carta costituzionale e della Repubblica, e fonte di legittimazione delle forze politiche democratiche, è stata anche componente ideologica dei movimenti di opposizione politica e sociale che hanno attraversato il nostro paese. Come ha scritto alcuni anni fa lo storico Nicola Gallerano, nel nostro paese la Resistenza è stata sia al governo sia all’opposizione.