Nicosia dopo il 1960: un fiume, un ponte e una zona morta

di Yiannis Papadakis

Sommario
Questo articolo esplora varie dimensioni spaziali di Nicosia, la città capitale di Cipro, che finì con l’essere divisa nel 1974. Le capitali vengono generalmente considerate come spazi simboleggianti ideologie nazionaliste, e a Nicosia questi processi acquisirono un’urgenza crescente a causa del conflitto etnico che ebbe luogo a Cipro e che condusse a sforzi quasi ossessivi mirati ad inscrivere in modo egemonico nello scenario cipriota l’Io nazionale, cancellando l’Altro.
Allo stesso tempo, altri gruppi sociali, critici nei confronti delle ideologie nazionaliste, sono stati in grado di utilizzare spazi “di mezzo” a Nicosia allo scopo di articolare critiche al nazionalismo e incoraggiare una cooperazione interetnica. I trasferimenti multipli degli abitanti di Nicosia e i loro tentativi di stabilire “luoghi” propri, vengono confrontati con quelli di altri gruppi di profughi, ovvero gli emigrati stranieri che giunsero gradualmente a vivere in quella zona. (Nota: Questo articolo è stato scritto nel corso dell’anno 2000, prima dell’apertura dei check point di Cipro nell’aprile del 2003 e prima dei successivi sviluppi politici, delineati di seguito).

Un fiume e un ponte

Una linea attraversa la città fortificata di Nicosia nelle mappe medioevali – un’altra linea in quelle contemporanee. Esse più o meno coincidono, attraversando la città lungo un asse est-ovest. Nelle mappe medioevali questa linea era un fiume, una divisione naturale che molto più tardi si trasformò in una divisione creata dall’uomo. Anche se il fiume divenne successivamente un ponte, ancora più tardi, nuovamente grazie ad un intervento dell’uomo, esso si convertì in un abisso, una pericolosa “terra di nessuno”: una Zona Morta. Come di consueto, quando due parti vengono coinvolte viene a determinarsi una differenza fondata sul modo in cui si decide di considerare la divisione. Un muro, ad esempio, possiede due lati. Per quelli che stanno al di là di un lato può significare la protezione dei propri diritti e della propria sicurezza, per coloro che stanno al di là dell’altro lato può significare esclusione e la violazione dei propri diritti. Altre dimensioni possono essere altrettanto importanti. Il terrificante confine visibile al di sopra del suolo lascia il posto ad un’immagine sotterranea differente. Un confine è inoltre puramente un punto di divisione o è anche un punto di contatto?
Il fiume venne chiamato con vari nomi: nomi propri e nomi impropri, nomi ufficiali che comparivano sulle mappe e nomi non ufficiali utilizzati dalla gente, nomi greco-ciprioti e nomi turco-ciprioti, alcuni condivisi, altri no. Ufficialmente, i greco-ciprioti lo chiamavano Pedhieos (da pedhiada che significa pianura) sebbene i locali, compresi i turco-ciprioti, lo denominassero più frequentemente Pithkias. Tra i turco-ciprioti era altresì conosciuto come Kanli Dere (Torrente Insanguinato) a causa del colore rossastro delle sue acque. Nel periodo medioevale, fino al 1567 esso scorreva all’interno delle mura veneziane che circondavano Nicosia, ma venne successivamente deviato per ragioni strategiche all’esterno e incanalato nel fossato costruito a quell’epoca, in previsione dell’attacco degli Ottomani. Dal 1570, quando gli Ottomani si impadronirono di Nicosia, il vecchio letto del fiume che attraversava la città fortificata venne lasciato aperto e fu utilizzato come discarica di rifiuti, in cui l’acqua piovana fluiva rapidamente ripulendolo temporaneamente. Nel corso di quel periodo, il principale centro amministrativo ottomano si trovava a nord del letto del fiume, mentre il centro greco ortodosso si trovava a sud. Nel 1882, durante il periodo britannico, il vecchio letto del fiume venne coperto per motivi igienici (Attalides 1981, pag. 99) e finì così per essere noto come Kotsirkas (Fogna) in greco e Chirkefli Dere (Torrente Sudicio) in turco (Keshishian 1990, pag. 15; Gurkan 1989, pagg. 150 e 175).
Quando il letto del fiume venne coperto, una strada emerse al suo posto al di sopra del suolo: la Hermes Street. Questa strada che occupò interamente il vecchio letto del fiume divenne il principale asse commerciale della città, una zona di richiamo per gli scambi commerciali della popolazione multietnica di Nicosia.2 Hermes era anche l’antica divinità greca, protettrice dei commercianti. A tempo debito, questo luogo avrebbe adempito ai diversi significati dei suoi numerosi nomi attraverso diverse associazioni e funzioni divergenti. Giunse ad adempiere al tempo stesso la funzione di ponte e di abisso tra le due principali comunità di Nicosia: i turco-ciprioti e i greco-ciprioti. Dopo gli anni sessanta arrivò a rispondere al proprio nome ma anche a connessioni più lugubri con Hermes legate al concetto di morte, allorché divenne una Zona Morta, addirittura con un Cerbero nella vicinanze (il feroce cane mitologico che sorvegliava l’entrata dell’Ade, il regno dei morti). Si tramutò in un luogo di violente battaglie di confine, lo scenario di ampi spargimenti di sangue. Arrivò persino a diventare il principale veicolo di sporcizia della città moderna. Nel complesso, questo fiume-ponte divenne un luogo particolarmente significativo per le realtà multiple e contese della moderna era post-indipendenza di Nicosia.

Guerra e pace

I due simboli ufficiali di Nicosia forniscono un punto di partenza per un tentativo di decifrazione del conteso presente della città. Emergono innanzi tutto domande riguardanti l’esistenza di questi due simboli. In secondo luogo, esse scaturiscono dalle modalità in cui i due simboli sono orientati verso differenti concezioni del passato e del futuro: un simbolo che richiama il conflitto passato e la futura divisione, e un altro che presenta una speranza di pace e di futura riunificazione. Al fine di spiegare questi simboli si rende necessaria una breve discussione sul passato recente di Cipro e di Nicosia e sugli orientamenti politici delle due parti. È necessario esaminare Nicosia sia come Lefkosia (in greco), da una prospettiva greco-cipriota, sia come Lefkosha (in turco) da una prospettiva turco-cipriota.
La prima divisione fisica di Nicosia ebbe luogo nel 1956, quando l’isola si trovava sotto l’autorità britannica (Drousiotis 1998, pagg. 200-204). Si trattava di un periodo in cui i britannici sfruttavano le differenze interetniche, con il conseguente sviluppo di manifestazioni di violenza interetnica e la creazione di una divisione in parti della città mediante il filo spinato, nota come “Linea Mason-Dixon”. Più tardi, nel 1958, divampò una rinnovata e più prolungata violenza interetnica, legata all’eventualità dell’instaurazione di municipalità separate in una futura Cipro. Da ciò derivò nuovamente una divisione della capitale. A partire da quel momento in avanti, i turco-ciprioti fondarono de facto consigli municipali separati e la questione della necessità di creare municipalità separate o meno rimase aperta nella costituzione del 1960.3
La questione legata alle municipalità restò una fonte principale di attrito tra le due comunità successivamente al concordato di indipendenza del 1960. Nel dicembre del 1963 esplosero nuovamente a Nicosia gravi episodi di violenza interetnica che si diffusero nel resto di Cipro, provocando l’intervento della missione di peacekeeping delle Nazioni Unite UNFICYP (United Nation Peacekeeping Force In Cyprus) e l’instaurazione di una “Green Line” (zona cuscinetto), controllata dalle Nazioni Unite, che divideva le due comunità in Nicosia e nel resto del paese. Questa linea venne mantenuta come una spaventosa divisione per tutto il periodo di violenza interetnica che durò fino al 1967 e divenne poi un confine penetrabile via via che i rapporti tra le due comunità miglioravano.4 Nel 1974, la divisione venne nuovamente istaurata in modo imponente, assumendo la forma di una linea del cessate il fuoco pesantemente armata fino ai giorni nostri. Tale divisione era legata agli interventi a Cipro dei greci (sotto forma di un colpo di stato organizzato ad Atene contro il presidente della Repubblica di Cipro) e dei turchi (sotto forma di un attacco militare), che determinarono la divisione dell’isola e scambi di popolazione che resero ciascuna parte pressoché etnicamente omogenea.
Durante il periodo post-indipendenza i due gruppi etnici avevano aspirazioni differenti circa il futuro: i turco-ciprioti perseguivano una politica più separatista, mentre i greco-ciprioti seguivano una politica più integrazionista. Dopo il 1974, l’obiettivo ufficiale turco-cipriota era quello di una divisione sotto forma di uno stato indipendente separato o di una confederazione. I greco-ciprioti insistevano invece su una soluzione federale all’interno di uno stato singolo. Questi fattori condussero a divergenze significative nelle costruzioni del passato delle due parti, che vennero successivamente inscritte nello scenario della stessa capitale divisa: i suoi simboli e le sue strutture fisiche (come monumenti e musei) insieme a relative cancellazioni (come verrà descritto di seguito).
I turco-ciprioti, che miravano ufficialmente alla separazione, costruirono una narrativa storica in cui veniva posta enfasi su episodi di conflitti e animosità tra le due parti, di fatto concentrata sull’aggressione dei greco-ciprioti nei loro confronti, in particolare durante gli anni sessanta, ma spesso proiettata più in profondità nel passato. Si tratta altresì di una concezione del passato enfatizzante i confini e la separazione tra le due parti. In questo modo, la separazione futura viene legittimata dall’argomentazione che “il passato dimostra che i due popoli non possono vivere insieme”. I greco-ciprioti, al contrario, che auspicano la riunificazione, hanno posto enfasi su eventi passati di cooperazione, costruendo una narrativa storica in cui i due gruppi etnici si dice abbiano “coesistito in pace”. Ciò legittima la loro mira di riunificazione, formulando l’idea che “il passato dimostra che le due comunità possono vivere insieme”.
I due simboli di Nicosia esprimono queste aspirazioni. Entrambi utilizzano le mura veneziane all’interno dei loro logotipi (le cui implicazioni verranno discusse in seguito). Il logotipo turco-cipriota è “Lefkosha Turk Belediyesi” (Municipalità Turca di Nicosia) che si riferisce alla creazione contesa de facto di municipalità separate. Al suo interno presenta un monumento musulmano, il Mevlevi Tekke, un simbolo etnoreligioso. Nella parte inferiore è riportata la data 1958, indicante la passata violenza interetnica, la segregazione interetnica e la creazione della municipalità turco-cipriota. Il logotipo di Nicosia greco-cipriota è “Dhemos Lefkosias” (Municipalità di Nicosia). È di tre colori: giallo per le mura e blu per la parte interna contenente una colomba bianca e fu creato nel dicembre del 1974. Il colori giallo, bianco e blu sono tipici di numerosi simboli greco-ciprioti successivamente al 1974. Precedentemente, i colori erano normalmente il blu e il bianco, i colori della bandiera greca, quando il desiderio di unione con la Grecia era forte.
Dopo il 1974, quando i greco-ciprioti abbandonarono completamente questa aspirazione a favore della riunificazione di Cipro come stato indipendente, venne aggiunto il giallo, il colore della bandiera della Repubblica di Cipro, un simbolo di sovranità e indipendenza. Analogamente, lungo la Green Line erano solite sventolare unicamente bandiere greche dalla parte greco-cipriota, ma dopo il 1974 venne aggiunta anche la bandiera della Repubblica di Cipro. Dalla parte turco-cipriota, vi era inizialmente solo la bandiera della Turchia, mentre successivamente venne aggiunta quella dell’autoproclamatasi Repubblica Turca di Cipro del Nord [TRNC]. La colomba al centro del logotipo greco-cipriota si dice simbolizzi un desiderio di pace, associato alla riunificazione di Cipro e Nicosia.5 Il logotipo greco-cipriota evita quindi l’utilizzo di simboli etnoreligiosi (utilizzati dal logotipo turco-cipriota) ed è orientato verso la pace, forse anche con un’allusione ad un passato pacifico secondo la nozione di “passata coesistenza pacifica”.
I nomi con i quali è nota la linea del cessate il fuoco controllata dalle Nazioni Unite che divide Nicosia sono impregnati di associazioni intrinseche e rivelano le aspirazioni delle due parti. La Green Line (Yeshil Hat in turco, Prasini Grammi in greco) è una linea piuttosto neutrale. Numerosi greco-ciprioti associano questo nome solo al 1974, pensando che la sua instaurazione risalga a quell’anno, dal momento che la nozione di divisione è unicamente associata agli eventi del 1974. I turco-ciprioti possono chiamarla Ara Bolgesi (area intermedia) o sinir (confine), laddove quest’ultima denominazione è finalizzata al tentativo di elevare la Green Line alla condizione di confine interstato. Per i greco-ciprioti è un ostacolo che dovrebbe venire rimosso e per questo motivo la chiamano “grammi tou aischous” (linea della vergogna) o “grammi Attila” (linea di Attila), laddove quest’ultima denominazione la associa alle barbarie e al nome dello storico condottiero degli Unni. “Zona morta” (Nekri Zoni) è un altro nome greco-cipriota. Per i greco-ciprioti non è soltanto una divisione iniqua, ma anche un confine minaccioso dato dalla temibile presenza dell’esercito turco a nord. La nozione di esistenza in una capitale divisa è molto più pronunciata tra i greco-ciprioti: essi percepiscono Nicosia come “Lefkosia divisa”. Per i turco-ciprioti, Nicosia è ufficialmente Lefkosha, la loro capitale, e niente altro. Per i turco-ciprioti, oltre la divisione si trova la capitale di un altro stato. La linea viene rappresentata ufficialmente come una barriera che offre loro protezione e sicurezza nei confronti di un’ulteriore aggressione da parte dei greco-ciprioti: viene messo in dubbio anche il concetto della sua eliminazione. Le due prospettive differenti del passato e del futuro di Nicosia sono evidenti nelle contrastanti strutture fisiche comprendenti entrambe le parti della Green Line. Dalla parte turco-cipriota si tratta di mura permanenti, mura che interrompono bruscamente strade che un tempo proseguivano oltre; dalla parte greco-cipriota esse sono costruzioni temporanee, costituite da sacchi di sabbia e filo spinato che possono facilmente venire rimossi.
Entrambe le parti emettono ferventi dichiarazioni di indipendenza e sovranità. I greco-ciprioti sostengono che la Repubblica di Cipro sia uno stato completamente indipendente e corrisponda quindi de jure (sebbene non de facto) con il governo di Cipro nel suo complesso. I turco-ciprioti sostengono che la TRNC, internazionalmente non riconosciuta (ad eccezione della Turchia), sia uno stato indipendente per proprio diritto. Pur tuttavia, le bandiere utilizzate lungo la Green Line raccontano una storia differente. Mentre i due governi dichiarano l’indipendenza, le bandiere delle due “madrepatrie” sventolano a fianco di quella di ciascun governo: la bandiera della Turchia e della TRNC di fronte a quelle della Grecia e della Repubblica di Cipro (con la bandiera delle Nazioni Unite, frapposta tra esse, sui checkpoint delle Nazioni Unite all’interno della Green Line).

Al centro e ai margini

Nicosia si trova al centro dell’isola. La divisione di Cipro stava tuttavia ad indicare che si è ritrovata ai margini di ciascun governo, divisa tra i due. Ciononostante, la nozione di centro è alla base delle rappresentazioni di Nicosia di entrambe le fazioni, in particolare con riferimento alla sua localizzazione all’interno del centro contemporaneo dell’”Occidente”. Come è stato sottolineato precedentemente, entrambe le parti utilizzano rappresentazioni delle mura veneziane nei loro simboli di Nicosia. In questo modo vengono rivelati i loro atteggiamenti eurocentrici condivisi. Le mura veneziane, come simbolo di eredità occidentale, sono incorporate all’interno dei due logotipi poiché entrambe le parti fanno riferimento ai monumenti occidentali in tutta Cipro come se fossero semplicemente “propri” o parte della loro eredità che stabilisce un legame con l’”Occidente”. Al contrario, come verrà indicato di seguito, quando si arriva a considerare i monumenti dell’altra comunità di Cipro questo discorso perde validità. Le recenti aspirazioni delle due parti di entrare a far parte dell’Unione Europea ha fornito un ulteriore slancio alla tendenza a sottoscrivere ed evidenziare simbolicamente i monumenti occidentali. Dal momento che le mura veneziane furono costruite con l’intento di respingere gli Ottomani e considerato che per questo scopo i veneziani rasero al suolo numerose abitazioni locali e chiese ortodosse, i loro significati occidentali le innalzarono alla condizione di un prestigioso monumento contemporaneo.
Un punto di riferimento occidentale particolarmente potente per i greco-ciprioti è stato il muro di Berlino. Accanto alla Green Line a Nicosia sud un bar è stato chiamato “Check Point Charlie, Berlin No. 2”. Dopo la riunificazione della Germania venne apposto un cartello alla fine di Ledra Street, il punto in cui la maggior parte di turisti e di dignitari stranieri si fermava per osservare la Green Line dalla parte greco-cipriota. In quel luogo è stato altresì fondato un centro informazioni con varie fotografie e pubblicazioni ufficiali greco-cipriote. Sul cartello continua a riecheggiare la frase: “L’ultima capitale divisa”. Un riferimento ancora più esplicito a Berlino venne fatto su un cartellone ufficiale greco-cipriota, raffigurante un muro crollato passante attraverso una città non identificata, che poi proseguiva integro attraverso le mura circolari di Nicosia. Il titolo era “Nicosia: la sola capitale divisa in Europa” e l’intestazione si riferiva alla speranza della riunificazione di Nicosia successivamente alla caduta del muro di Berlino. Si tratta di un’interessante rappresentazione articolata in numerosi modi, non da ultimo per il fatto di posizionare esplicitamente Nicosia all’interno di un contesto europeo. Se fosse stata ipoteticamente posta nel contesto del Medio Oriente, la vicina presenza della Gerusalemme divisa e di Beirut non avrebbe consentito la presentazione di forte impatto della dichiarazione di “Ultima capitale divisa”.6 Ciò vale in modo particolare per Beirut, la cui linea divisoria porta esattamente lo stesso nome di quella di Nicosia, “Green Line” a causa della crescita incontrollata della vegetazione all’interno della divisione. Pur tuttavia, molti greco-ciprioti e turco-ciprioti rimangono all’oscuro della presenza di un’altra Green Line ad una distanza così ravvicinata. Persino all’interno di un contesto europeo, la presenza di Belfast, e successivamente di Sarajevo, sottopongono le dichiarazioni retoriche all’unicità della problematica di Nicosia.
Bollens (1999, pagg. 3-18) fornisce una discussione utile e illuminante sulle città divise e contese. La sua ampia discussione in merito a tali siti urbani suggerisce che un contesto importante per l’esame di Nicosia sarebbe quello di altri siti, come Beirut, Sarajevo, Gerusalemme, Belfast, Montreal (o persino Brussel come un esempio più positivo), piuttosto ad esempio di Johannesburg, Nuova Deli, Hong Kong, o Algeri. Anche Londra e New York possono venire considerate come Città Divise, come suggerisce il titolo di un’importante analisi comparativa sugli abitanti di queste realtà urbane (Fainstein, Gordon and Harloe, 1992). Mentre tutte le città e le capitali contengono tipologie differenti di divisioni e confini (come quelli dati dalla razza, dalla classe, dal genere, dall’etnicità, ecc.), la questione è per la precisione quale tipo di confine è rilevante per il caso in esame. La particolare categoria in cui si inserisce Nicosia la pone in un contesto di conflitto etno-nazionale, nel quale gruppi in competizione mirano alla sovranità dello stato o alla secessione, il che significa una città divisa o una capitale.

Istambul Road diventa Athena Avenue

Le mura circolari della città vecchia di Nicosia sono percorse internamente da una strada circolare che porta vari nomi. In un determinato punto della parte greco-cipriota è denominata Athena Avenue, da cui derivano associazioni con l’antica dea greca e con la capitale della Grecia. Un po’ più oltre, dopo la Green Line, diventa la Istanbul Avenue all’interno della parte turco-cipriota. Questa sezione ha a che vedere con inscrizioni ufficiali nel panorama urbano di Nicosia, ricollegandosi innanzitutto ai modi in cui le ideologie vengono inscritte nel paesaggio attraverso il ricorso a nomi di strade, nomi di luoghi, monumenti, ecc. I processi alla base di cancellazioni ufficiali, intese come tracce lasciate da altri e fatte scomparire, sono altrettanto significativi e connessi dialetticamente a quanto enunciato sopra. Dato il significato simbolico di qualsiasi capitale, tra le altre cose, in quanto centro dell’ideologia di uno stato, tali processi di inscrizione e cancellazione tendono ad essere particolarmente marcati in tali luoghi.
Le mappe prodotte in differenti frangenti storici costituiscono un utile mezzo per l’esplorazione dei processi storici di inscrizione e cancellazione. La prima mappa “ufficiale” nell’era della moderna cartografia “scientifica” è quella di Kitchener (mappa di Nicosia del 1878).7 Poche strade della città fortificata hanno un nome, ma la presenza dei coloni è resa immediatamente evidente da nomi di strade come Victoria, Albert e George. Su questa mappa i bastioni delle mura mantengono i loro nomi ottomani, ma in altre più recenti i britannici ripristinano i precedenti nomi veneziani dei bastioni. Le mappe della Repubblica di Cipro e quelle greco-cipriote in generale conservano i nomi veneziani, mentre le mappe turco-cipriote prodotte successivamente al 1974 mostrano i bastioni con nomi ottomani (Zesimou 1998, pagg. 257-259). Nei primi anni del ventesimo secolo i britannici consentirono alle due comunità di assegnare i loro nomi alle strade (Michaelidou 1977, pag. 21). Essendosi piazzati saldamente all’interno delle “comunità immaginate” (Anderson 1983) della Grecia e della Turchia, i nomi delle strade espressero in vari modi l’identificazione con le due “madrepatrie” (mitera-patrida in greco, anavatan in turco). I nomi adottati si riferivano ad aree geografiche, città, luoghi, ecc. in Grecia e in Turchia, mentre altri si riferivano a importanti personalità delle rispettive storie nazionali. Anche durante il periodo colonialista, i nomi dei luoghi furono oggetto di contesa tra i due gruppi etnici. Il nome turco Tophane, ad esempio, venne sostituito intorno alla fine degli anni quaranta dal nome greco Agios Andreas, dando adito a clamorose lamentele da parte dei turco-ciprioti (Gurkan 1989: 160).
Se il periodo prima del 1960 fu un’epoca di inscrizioni coincidenti con identificazioni nazionali, le decadi che seguirono furono tempi di cancellazione e reiscrizione. A partire dalla fine del 1963 molti turco-ciprioti abbandonarono le loro abitazioni e si trasferirono in altre aree che divennero enclave autoamministrate; seguì a breve distanza l’instaurazione della Green Line lungo la Hermes Street, che divenne un’area di spargimenti di sangue, in cui di fatto ebbero inizio le uccisioni. Trasformandosi in una Zona Morta, la Hermes Street divenne effettivamente la connessione con Hermes, questa volta non inteso come il dio dei commercianti, ma come psychopompos, colui che dirigeva le anime dei morti nell’Ade. La nuova Zona Morta acquisì presto il proprio Cerbero. Ciò avvenne indicativamente durante il processo di cancellazione dei nomi turchi delle strade dalle aree abbandonate dai turco-ciprioti (Zesimou 1998, pag. 261). Quest’azione implicava non solo un atteggiamento di intolleranza, ma era altresì fondata sulla premessa che coloro che se ne andavano fossero indesiderati e che non se ne attendesse il ritorno (come è altresì rivelato dal successivo processo più massiccio di cancellazione questa volta ad opera dei turco-ciprioti). Il nome turco Chinar (platano) Street nel quartiere di Tahtakala, vicino alla Zona Morta, fu cambiato in un nome greco: Cerberus Street.
Dopo il 1974 tuttavia, la situazione cambiò in modo significativo. In primo luogo, un processo molto più pronunciato di cancellazione fu instigato dalle autorità turco-cipriote, che modificarono tutti i nomi dei luoghi a nord in nomi turchi (King and Ladbury 1982). In secondo luogo, cambiò l’atteggiamento delle autorità greco-cipriote in merito ai nomi turchi di luoghi e monumenti. Premesso che precedentemente i nomi turchi dei luoghi erano stati modificati e i monumenti turchi o ottomani erano stati trascurati o lasciati andare in rovina, i greco-ciprioti preservarono a partire dal 1974 tutti i nomi turchi e iniziarono ad occuparsi almeno di alcuni monumenti, in particolare le moschee. Dal momento che i greco-ciprioti desideravano il ritorno dei rifugiati greco-ciprioti al nord, il ché significava che i turco-ciprioti che vivevano nelle abitazioni dei greco-ciprioti sarebbero dovuti ritornare al sud, essi preservarono le moschee e i nomi turchi dei luoghi. Quando ad esempio i rifugiati greco-ciprioti che si trasferirono nell’Insediamento di Rifugiati di Tahtakalas chiesero che venisse modificato il nome (turco) Tahtakalas, la risposta da parte delle autorità fu negativa (Papadakis 1993: 185-188). Ciò non era soltanto connesso ad una strategia mirata ad incoraggiare il ritorno dei turco-ciprioti, ma si riferiva altresì alle pesanti accuse sollevate dalle autorità greco-cipriote contro le autorità turco-cipriote, in cui a queste ultime veniva addossata la responsabilità della distruzione o dello stato di abbandono di monumenti greci o ortodossi al nord e della modifica di tutti i nomi dei luoghi.8 Venne gradualmente cancellata dalla mappa la maggior parte dei nomi inglesi delle strade concentrate sul versante turco-cipriota (Gurkan 1989, pagg. 172-3).
Le mappe raffiguranti spazi contesi come quella riguardante Nicosia si trasformano facilmente in dichiarazioni simboliche e ideologiche. Le mura circolari, ad esempio, sono spesso presentate sulle mappe greco-cipriote in modo da suggerire che una linea intersecante – una linea che divide il cerchio – è una violazione della naturale continuità di un cerchio ed è quindi inaccettabile. Al contrario, le mappe turco-cipriote posizionano talvolta la parte nord della città fortificata alla base della cornice della mappa, eliminando così completamente dalla vista il sud. Lefkosha viene presentata come completa e isolata, in linea con la politica ufficiale discussa precedentemente. Solitamente, le mappe di Nicosia di una delle due parti presentano l’altra come uno spazio vuoto.9
I monumenti – storici o commemorativi di recente costruzione – sono luoghi significativi per l’inscrizione di ideologie nazionali. L’incuria generale dei monumenti dell’una o dell’altra parte, tuttavia attualmente molto più pronunciata dalla parte turco-cipriota, ha significato che questa città si sta evolvendo gradualmente passando da un luogo multiculturale ad una parte greca e turca culturalmente omogenea (in linea con i dati demografici in evoluzione verso due parti etnicamente omogenee).
Canefe (2001) suggerisce che nella parte turco-cipriota di Nicosia le rappresentazioni del passato assumono due forme. La prima si riferisce alla grandezza dell’impero ottomano e la seconda si riferisce alle sofferenze dei turco-ciprioti oppressi dai greco-ciprioti come un aspetto determinante dell’identità turco-cipriota. Luoghi come bagni turchi (Buyuk Hamam), caravanserragli (Kumarcilar, Buyuk), moschee, tombe di combattenti ottomani uccisi durante la conquista di Nicosia (Aziz Effendi, Kurt Baba) sono stati ristrutturati e celebrati come parte di una gloriosa eredità ottomana. Scrittori turco-ciprioti e pubblicazioni ufficiali turco-cipriote (ad esempio la North Cyprus Tourist Map n.d.) suggeriscono spesso che il periodo ottomano ha fornito le influenze primarie per la formazione della Nicosia contemporanea.10
Uno dei monumenti più interessanti, simbolizzante sia l’identificazione con la Turchia, sia la sofferenza dei turco-ciprioti, è la statua di Ataturk, il fondatore dello stato turco, il “padre dei turchi”, come sta a significare la sua traduzione del suo nome, dedicata a quest’ultimo dal nuovo parlamento dello stato turco. Questa statua è situata in prossimità di Kyrenia Gate (porta di Kyrenia) a Nicosia Nord. É parzialmente danneggiata e nel corso della mia ricerca a Nicosia Nord, la mia guida ufficiale ha puntualizzato che non era stata riparata di proposito per ricordare ai turco-ciprioti la violenza dei greco-ciprioti, “che venne addirittura indirizzata contro le nostre statue”. Molte cerimonie e commemorazioni ufficiali turco-cipriote hanno luogo ai piedi della statua di Ataturk, che si trasforma così in un luogo di unione simbolica tra la TRNC e la Turchia (in linea con varie misure integrazioniste adottate dalle autorità turco-cipriote). Il monumento più straordinario nella Nicosia Nord, che rievoca le sofferenze dei turco-ciprioti causate dai greco-ciprioti e incorpora numerosi aspetti della rappresentazione ufficiale turco-cipriota del passato, è un monumento situato fuori Nicosia verso Kyrenia: il monumento “We Will Not Forget” (Killoran 1994, pagg. 220-242). Un lato mostra una donna che sorregge un caduto con l’inscrizione “Unutmayacagiz” (We Will not Forget) [non dimenticheremo], mentre l’altro lato mostra una ragazza e una donna con le braccia allungate nell’atto di sorreggere una torcia al di sopra di una citazione di Ataturk: “Youth, You Are the Ones That Strengthen and Maintain Our Confidence in the Future” [Siete voi, giovani, che rafforzate e mantenete la nostra fiducia nel futuro]. Un altro lato mostra Denktash, il leader turco-cipriota, accanto a Kuchuk, un famoso politico, con un proclama di Denktash: “The Nation That Has Learned Freedom’s Secret from its Martyrs Cannot Be Enslaved” [La nazione che ha imparato il segreto della libertà dai propri martiri non può essere ridotta in schiavitù]. “We Will not Forget” è il simbolo ufficiale dominante turco-cipriota riguardante la memoria sociale. Si riferisce al periodo degli anni sessanta e il suo messaggio che non ha bisogno di essere esplicitato (poiché è a tutti fin troppo noto) è “non dimenticheremo le atrocità greco-cipriote e la nostra sofferenza passata”.
Il riferimento ufficiale greco-cipriota alla memoria sociale è riassunto in modo analogo: “I Don’t Forget (Den Xehno)” [Non dimentico]. Questa dicitura richiama il 1974 e i rifugiati che “non dimenticano le loro case e i loro villaggi nella aree occupate”. Compare spesso lungo la Green Line nella parte inferiore di una mappa di Cipro, in cui la parte nord è stata dipinta di rosso come se grondasse sangue (una scelta significativa dal momento che il rosso è anche il colore della bandiera turca). La memoria sociale greco-cipriota è incentrata sul 1974 e sulla sofferenza causata dall’offensiva militare turca, mentre la memoria sociale turco-cipriota è radicata nel conflitto interetnico degli anni sessanta e nella loro sofferenza all’interno delle enclavi. Mentre per i greco-ciprioti il principale istigatore del male è la Turchia (considerata altresì la politica di riconciliazione verso i turco-ciprioti e la nozione di passata coesistenza pacifica), i turco-ciprioti vedono nei greco-ciprioti il loro acerrimo nemico. In un determinato punto lungo la Green Line i due simboli di memoria sociale si confrontano l’uno con l’altro: “Non dimentico” è scritto in greco da un lato e la risposta scritta in turco sul lato opposto è: ”Neanche noi dimentichiamo il massacro”. Le capitali sono anche le sedi di musei, istituiti con l’intento di educare allo stesso modo i locali e i visitatori. La prossima sezione descrive i musei creati dopo il 1960 allo scopo di fornire un insegnamento sulla recente storia politica dell’isola.

Museo della Lotta Nazionale (Milli Mucadele Muzesi) e Museo della Lotta Nazionale (Mouseio Ethnikou Agona)11

I due musei hanno esattamente lo stesso nome, uno in greco, l’altro in turco, e sono situati ad entrambi i lati della Green Line, all’interno delle mura della Città Vecchia. All’interno e all’esterno di questi due musei sventolano le bandiere delle rispettive “madrepatrie”: la bandiera della Turchia e quella della Grecia. Sono dedicati alla commemorazione della lotta dei combattenti per la liberazione nazionale, quelli appartenenti alla EOKA per i greco-ciprioti e quelli appartenenti alla TMT per i turchi-ciprioti. A Nicosia, altri due luoghi di rilievo sono i cimiteri-monumento per i combattenti: Filakismena Mnimata (Tombe Imprigionate) a sud per i combattenti della EOKA e Shehitlik (Martirio) a nord per i combattenti della TMT.
Il museo greco-cipriota della lotta nazionale venne costruito negli anni sessanta in commemorazione della lotta combattuta dalla EOKA contro i britannici dal 1955 al 1960, la lotta per l’enosis (unione con la Grecia) che terminò tuttavia con l’instaurazione dello stato indipendente di Cipro. La “comunità immaginata” che viene costruita nel contesto del museo è quella “ellenica” all’interno della quale sono posizionati i greco-ciprioti. Le lettere EOKA vengono sillabate utilizzando fotografie di eroi caduti. In esposizione vi sono pistole che indicano quanto ben equipaggiati fossero i britannici rispetto ai combattenti della EOKA. Nel museo, per lo più concentrato sulla lotta tra i britannici e i greco-ciprioti, vengono fatti solo rapidi rimandi ai turco-ciprioti. Tuttavia, essi sono significativi per il fatto di rivelare il modo in cui a quell’epoca i turco-ciprioti fossero considerati come nemici, affiancati o sfruttati dai britannici e come li si ritenesse responsabili di atrocità contro i greco-ciprioti. Nel contesto di questo museo si fa riferimento ai turco-ciprioti assoldati dai britannici come poliziotti ausiliari contro l’insurrezione dell’EOKA e ad un evento durante il quale i greco-ciprioti vennero uccisi con coltelli da macellaio per mano dei turco-ciprioti (con i coltelli in esposizione). Questa narrativa storica pone inoltre i turco-ciprioti nella posizione di “resti di invasori stranieri”. Ciò è in contrasto con i greco-ciprioti per i quali viene rivendicato che la loro presenza e continuità storiche risalgono al XIV secolo aC, da cui deriva il loro diritto esclusivo di abitanti e proprietari di Cipro. Ciononostante, successivamente al 1974, la narrativa storica greco-cipriota dominante sposta l’enfasi sul concetto di “coesistenza pacifica” con i turco-ciprioti, ora trattati come “compatrioti” e considerati aventi gli stessi diritti di cittadinanza a Cipro. Inoltre, l’ideale di enosis, che doveva essere promosso dal museo nella speranza di una lotta continua per un’eventuale enosis, si dissolse come richiesta popolare e la riunificazione di Cipro divenne il nuovo obiettivo politico. Per queste ragioni, il museo perse gran parte del proprio valore e della propria influenza e cadde in una condizione di estremo degrado.
Il museo turco-cipriota venne edificato nel 1978 e fu costruito specificatamente allo scopo di alloggiare questo museo. Questa volta, le lettere TMT sono sillabate utilizzando fotografie e combattenti caduti e il confronto viene incentrato sulle pistole utilizzate dalla TMT e le pistole utilizzate dai greco-ciprioti al fine di mostrare la forza militare di questi ultimi. In questo museo, i greco-ciprioti vengono presentati come acerrimi nemici e viene fatto solo un rapido rimando ai britannici. La narrativa storica del museo inizia con la conquista ottomana di Cipro nel XVI secolo, suggerendo che Cipro è stata “turca” per la maggior parte della propria storia (se si ritiene che la sua storia sia iniziata nel XVI secolo) e ponendo in tal modo implicitamente la Turchia e i turco-ciprioti nella posizione di proprietari storicamente legittimi dell’isola. Il museo è organizzato in rigoroso ordine cronologico e il suo design architettonico è stato creato allo scopo di evocare determinate sensazioni nei visitatori che percorrono questa narrativa storica lineare. Il museo è dedicato principalmente alla rappresentazione delle atrocità greco-cipriote e delle sofferenze subite dai turco-ciprioti e la sezione più estesa fa riferimento al periodo compreso tra il 1963 e il 1974. Questa sezione del museo è un corridoio lungo e piuttosto buio che mostra ad entrambi i lati fosse comuni per i turco-ciprioti, fotografie di rifugiati turco-ciprioti, pistole e quadri. Il corridoio relativamente buio e stretto conduce all’interno dell’ultima sezione che è dedicata al 1974 e che è strutturata in modo da formare un’ampia stanza, ben illuminata, spaziosa e dagli alti soffitti. Il relativo pieghevole spiega che il corridoio è stato costruito allo scopo di creare la sensazione di chiusura e sofferenza vissuta dai turco-ciprioti, mentre l’ultima stanza è dedicata all’”Operazione felice di pace del 1974” (Mutlu Barish Harekati) ed è progettata per ricreare la sensazione di libertà e sollievo e la prospettiva di un futuro luminoso. Dal momento che questa è attualmente l’interpretazione turco-cipriota del passato, ufficialmente approvata, questo museo è mantenuto in ottime condizioni per i turisti e i bambini in visita scolastica. Se il museo greco-cipriota ha già perso il proprio valore a causa delle mutevoli aspirazioni politiche, il museo turco-cipriota solleva questioni importati in merito al proprio posto in una futura Cipro, qualora venga trovata una soluzione qualsiasi. Ciononostante, entrambi i musei condividuono una rappresentazione fortemente etnocentrica e selettiva del passato.
Subito fuori dalle mura e in prossimità della Green Line si trova un altro museo turco-cipriota: “Il Museo della Barbarie”. Si tratta della casa in cui visse con la propria famiglia un medico di origina turca al servizio del contingente turco (facente capo alla costituzione del 1960). Durante gli episodi di violenza interetnica del dicembre 1963, sua moglie e tre bambini vennero uccisi in quella casa da soldati irregolari greco-ciprioti. Questo è di gran lunga il museo più inquietante dell’isola. L’interno del bagno in cui ebbero luogo gli omicidi è stato lasciato intatto, con didascalie che spiegano che le macchie sui muri sono il vero sangue delle quattro vittime. Dal mio punto di vista è un museo doppiamente inquietante. Innanzitutto per la violenza che è stata commessa al suo interno, e secondariamente per il fatto che la violenza di queste tragiche morti è stata utilizzata per supportare la retorica ufficiale turco-cipriota imperniata sul concetto di “greco-ciprioti barbari, assetati di sangue”, finalizzata ad incrementare l’odio interetnico.

Luogo e non Luogo

La sua effettiva condizione di città divisa fa di Nicosia un luogo inconsueto. Ma che genere di luogo è esattamente Nicosia, una città caratterizzata da spostamenti di vario tipo? De Certeau (1984) e Auge (1995) hanno scritto ampiamente su “luoghi” e “non luoghi” e la loro analisi possiede implicazioni interessanti per la costruzione di “luoghi” e “non luoghi” a Nicosia. L’approccio di De Certeau pone enfasi sulla prassi, sul modo in cui gli attori sociali reinterpretano, manipolano e utilizzano tatticamente costruzioni ufficiali per i loro propri fini. Un “luogo” è ciò che si trova all’opposto di “spazio vero e proprio” (De Certeau 1984, pagg. 36, 38, 94). Lo spazio vero e proprio viene costruito dall’alto da funzionari e urbanisti sulla base di considerazioni razionaliste o politiche. Le analisi precedenti di Nicosia in cui venivano coinvolte costruzioni ufficiali (denominazioni, cancellazioni, musei e monumenti) erano essenzialmente limitate agli “spazi veri e propri”. Tuttavia, gli attori locali (le “autorità locali” nella terminologia di De Certeau) danno significati locali agli “spazi veri e propri” mentre li percorrono, vivono in essi e li impregnano dei loro ricordi e significati, in breve, mentre agiscono in mezzo ad essi. Auge teorizza un altro tipo di contrasto, questa volta tra “luogo” e “non luogo”. Il primo viene definito come un luogo identitario, relazionale e storico (1995, pag. 52); il secondo, in quanto “non luogo” manca di tali qualità. La sua argomentazione è strutturata in termini di cambiamenti globali associati al concetto di “supermodernità” e in particolare alla mobilità accentuata che essa richiede. Dal momento che le persone sono in continuo spostamento, esse arrivano ad “abitare” sempre più luoghi di transizione (sale d’attesa di aeroporti, automobili, treni, sobborghi dai quali si spostano in breve per andare altrove) e in quest’epoca di mobilità il trasferimento è più una regola che un’eccezione.13 Un modo in cui gli attori sociali locali costruiscono i loro propri luoghi, nell’interpretazione di De Certeau, è attraverso l’utilizzo di nomi. Hora (in greco) e Sheher (in turco) sono i nomi più confidenziali con i quali è nota Nicosia, ma Hora è stato spesso utilizzato anche dai turco-ciprioti. I nomi ufficiali e il significato di luoghi ufficiali possono venire sovvertiti dagli attori sociali che scelgono nomi differenti o trasformano i significati di nomi ufficiali. Vari esempi di tali sovvertimenti tra i turco-ciprioti vengono forniti da Killoran (1994; 1998). I membri dell’opposizione dell’ala di sinistra della parte turco-cipriota (coloro che sono maggiormente impegnati verso una soluzione di compromesso e deprecano la retorica ufficiale che sottolinea l’animosità), spesso, ad esempio, hanno scelto di non utilizzare il nome ufficiale “Ataturk Square” (con i suoi collegamenti espliciti alla storia e all’identità turche) e hanno invece fatto ricorso al nome precedente “Sarayonu” (1994, pag. 183). Si dovrebbe altresì notare in questo caso che in generale la sinistra turco-cipriota ha lasciato una nozione di identità cipriota che vede i greco-ciprioti e i turco-ciprioti uniti tra loro, contrariamente all’identità turca esposta ufficialmente dalla destra. Il significato del monumento “We Will Not Forget” è stato trasformato quando i sostenitori del PKK scrissero l’acronimo con bombolette spray sopra l’iscrizione (1994, pag. 226). In un altro caso, un direttore del folklore opposizionale turco-cipriota dichiarò ironicamente: “Ah, l’ho già dimenticato” mentre passava davanti al monumento (1998, pag. 162). I musei sono stati a volte oggetto di scherno, ad esempio quando i turco-ciprioti dell’ala di sinistra suggerirono che un museo più appropriato sarebbe stato un “Museo della Povertà, della Miseria e dei Salari Minimi” (1994, pag. 207). Durante la mia ricerca personale, l’onnipresente sguardo severo di Ataturk dalle montagne e dagli edifici, e le sue maschere o foto piazzate sui muri all’interno degli edifici fu spesso preso in giro dai miei genitori che si divertivano a spaventare i loro bambini dicendo “Non farlo, Ataturk sta guardando”.
Passando ora alla parte greco-cipriota, gli abitanti dell’area di Tahtakalas potevano impiegare un nome differente come “Akritikes Enories (Fedeli ai Margini)” mentre lottavano per dare mostra di sé come eroici guardiani del confine, come il famoso Akrites che era solito sorvegliare le frontiere dell’Impero Bizantino. Per quanto riguarda nomi propri designati ufficialmente, De Certeau suggerisce che anche nel caso in cui vengano utilizzati possono acquisire connotazioni differenti. Se ad esempio viene menzionata la “Soutsou Street” dalla parte greco-cipriota, l’associazione creata dall’ascoltatore non è (sebbene intesa ufficialmente) con la famosa figura letteraria derivante dalla Grecia, ma con prostitute che lavorano lungo quella strada. Analogamente, la menzione di “Rigenis Street” non richiama alla mente la gloriosa regina che governò Cipro, quanto piuttosto i locali per il cabaret di infimo ordine per i quali è nota.
Come suggerito innanzi, Nicosia è stata la sede di trasferimenti involontari a partire dalla fine degli anni cinquanta e più in particolare nei periodi compresi tra il 1963 e 1974. A tale riguardo è estremamente interessante esaminare la costruzione ufficiale di luoghi da ciascuna delle due parti, facendo riferimento ai profughi. Per i turco-ciprioti, il nord viene ufficialmente definito come il loro paese, la loro terra natia. Viene suggerito che il loro spostamento dalle proprie abitazioni al sud fu di fatto uno spostamento verso quella che consideravano la loro casa reale e permanente. Per questa ragione, tracce di passate presenze greco-cipriote vennero cancellate e sostituite da passati pregni di significati turchi. I turco-ciprioti vengono incoraggiati a dimenticare i loro vecchi villaggi e ad associarli solo a ricordi negativi di persecuzione. Ciononostante, i profughi turco-ciprioti vennero inseriti all’interno di comunità con i loro precedenti compaesani.14 Ciò che li tiene uniti è quindi questa vita vissuta precedentemente insieme, una vita che tuttavia non sono tenuti a ricordare e certamente non con alcun segno di nostalgia. I turco-ciprioti non dovevano sentirsi come rifugiati, come profughi. Così, ufficialmente, il nord è il loro posto, la loro casa, malgrado la mancanza di ricordi e di associazioni emotive che lo renderebbero tale.
Per i greco-ciprioti la situazione è rovesciata. Ai rifugiati venivano sempre ricordate le loro case al nord e venivano incoraggiati a pensare ad esse come le loro vere case. In questo senso, la politica ufficiale greco-cipriota era quella di creare solo “non luoghi” transitori per i rifugiati greco-ciprioti che si erano trasferito al sud, luoghi che non avrebbero mai considerato come la loro residenza permanente. La forte dose di nostalgia per le loro vecchie case e per i loro vecchi villaggi diventò una parte significativa della politica ufficiale. Questi greco-ciprioti e i loro figli, si sarebbero sempre sentiti come rifugiati. Malgrado ciò, i rifugiati greco-ciprioti vennero riforniti indiscriminatamente di nuove abitazioni e i loro insediamenti contengono persone provenienti da numerosi villaggi e città. Così, da un lato, vengono incoraggiati a considerarsi membri di una comunità (il villaggio precedente) non più esistente, mentre dall’altro lato, vennero uniti a persone provenienti da altri villaggi, con le quali non erano in grado di condividere ricordi delle loro vite passate.
Per molti altri, da entrambe le parti, si potrebbe dire che vivessero in “non luoghi”, anche se in un senso differente da quello proposto da Auge: un senso di alienazione e oppressione, talvolta ai limiti della schiavizzazione nell’assenza totale di diritti. Si tratta dei cosiddetti emigrati volontari, persone provenienti da innumerevoli paesi, le cui misere condizioni di vita li condussero a Cipro in cerca di un impiego temporaneo e di un futuro migliore. Dalla parte greco-cipriota questi ultimi comprendono principalmente persone dell’Est, provenienti dal Medio Oriente (soprattutto lavoratori di sesso maschile originari di luoghi come la Siria e l’Egitto) o dall’Estremo Oriente (soprattutto donne dello Sri Lanka e delle Filippine impiegate come collaboratrici domestiche, o uomini originari dell’India e del Pakistan che svolgono il lavoro di operai), o persino provenienti da paesi dell’ex blocco dell’est (donne russe, polacche, moldave che lavorano nei cabaret e nel giro della prostituzione). Si tratta di persone il cui trasferimento fu indotto dai processi sociali creati dal capitalismo globale, in cui le forze della domanda e dell’offerta di manodopera a basso costo per sgradite occupazioni domestiche condussero a flussi dettati da differenziali di prezzo, rinforzati da agitazioni interne politiche, sociali ed economiche nelle loro terre natie. Talvolta, specialmente nel caso di donne provenienti dall’ex blocco dell’est, esse vennero costrette a prostituirsi non appena arrivarono a Cipro, o vennero impiegate in condizioni molto più dure rispetto alle loro aspettative. Le vite di queste persone sono strettamente controllate e monitorate e viene loro consentita una scarsa libertà di movimento limitata a poche ore settimanali, di domenica, quando escono. Questi profughi vivono un’esistenza nell’ombra in oscuri cabaret o riparati nei parchi dove si incontrano alla domenica e rinascono letteralmente come persone in compagnia di amici, lontano dallo sguardo e dal controllo dei loro datori di lavoro e degli altri ciprioti. La loro presenza talvolta illecita, le reti criminali che li controllano e la loro mancanza di organizzazione, li hanno privati della possibilità di reclamare qualsiasi diritto.
Gruppi di questo tipo esistono anche nella parte turco-cipriota, sebbene in numeri e proporzioni molto più ridotti rispetto alla parte greco-cipriota. La presenza di donne provenienti dall’ex blocco dell’est (le Natashas, come vengono definite) è marcata, ma vi è una presenza molto più accentuata di lavoratori stagionali e temporanei di sesso maschile, provenienti dalla Turchia.15 Molti di loro giungono qui per lavori occasionali e li si può vedere seduti intorno alla statua ferita di Ataturk di primo mattino, in attesa che i turco-ciprioti li carichino sui camion. Altri arrivano nella veste di “agenti di commercio”, trainando grosse valige su ruote per vendere articoli provenienti dalla Turchia e ritornare con merce prodotta a Cipro. Spesso trattati con freddezza, guardati dall’alto al basso dai turco-ciprioti e accusati di avere reso Nicosia un luogo pericoloso in cui vivere, molti di loro vivono in pansyions a poco prezzo nella vecchia Nicosia, in gruppi di cinque-dieci persone in una stanza.16 Li si può vedere intenti a mangiare l’economica pide turca (una base piana di pasta di farina di frumento sormontata da un po’ di carne o di verdura) preparata all’interno di ristoranti gestiti da altri turchi che offrono loro i propri servizi, o seduti in coffee-shop per soli uomini, intenti a guardare una partita di calcio e a bere chay (tè) da piccoli bicchieri secondo l’usanza turca (non il più costoso caffé che viene normalmente bevuto dai turco-ciprioti).

Tra le parti e al di sotto del suolo

Il paradosso dei confini risiede nel fatto che essi fungono al contempo da divisione e da luogo di contatto. Il Ledra Palace hotel, sotto il controllo dalle Nazioni Unite e situato subito fuori le mura, è il primo luogo da dove i turisti e, meno occasionalmente, i ciprioti possono passare dall’altra parte, ed è al contempo un punto di contatti multipli che hanno luogo al suo interno. I due checkpoint ad entrambi i lati sono coperti da proclami, poster, graffiti e dichiarazioni che riflettono le posizioni delle due parti in merito al problema di Cipro. La costruzione fisica dei checkpoint è di per sé eloquente. Il checkpoint greco-cipriota è strutturato come una piccola costruzione temporanea, mentre il checkpoint turco-cipriota è un’ampia struttura di cemento a due piani con un’insegna posta in cima ad esso su cui viene proclamato “TURKISH REPUBLIC OF NORTHERN CYPRUS FOREVER” [Eterna Repubblica Turca di Cipro del Nord].
La sede del Ledra Palace, in particolare i due checkpoint intorno ad esso, è stata spesso utilizzata per dimostrazioni dirette contro l’altra parte, specialmente in occasione di commemorazioni quando la gente di una delle due parti protestava contro una commemorazione in corso nell’altra, o si radunava in quel luogo durante una commemorazione organizzata dalla loro parte. Il Ladra Palace è tuttavia anche il luogo principale di contatti interetnici. Nel passato erano soprattutto i gruppi e i partiti dell’ala di sinistra delle due parti che cercavano di incontrarsi tra loro per discutere. Questi gruppi erano uniti da un atteggiamento impegnato antinazionalista e condividevano una storia di significativa cooperazione e lotta interetnica per cause comuni – in particolare sotto forma di sindacati e richieste dei lavoratori. Gradualmente vennero a crearsi da entrambe le parti molti altri gruppi: gruppi organizzati da cittadini interessati appartenenti categorie di vario genere (donne, avvocati, educatori, artisti, ecc.), che iniziarono altresì a utilizzare il Ledra Palace come luogo di incontro. Le Nazioni Unite incentivarono questi contatti mettendo a loro disposizione uno spazio e una logistica e organizzando giornate nelle quali l’Hotel veniva aperto agli individui provenienti da entrambe le parti. Considerata la politica greco-cipriota di riavvicinamento e la politica turco-cipriota alimentante l’animosità e l’auspicata divisione, tali gruppi incontrarono molti più ostacoli dalla parte turco-cipriota. Pur tuttavia il numero dei gruppi e degli individui che vi prendevano parte proliferarono rapidamente, in particolare a partire dalla fine degli anni ottanta. Alcuni incontri venivano organizzati sotto forma di seminari mirati alla risoluzione dei conflitti, spesso supportati da numerose istituzioni esterne e ambasciate straniere. Durante questi incontri, i partecipanti cercavano di creare uno spazio per un dialogo e una comunicazione interetnici, tenendo conto delle esperienze, delle aspirazioni e delle paure di entrambi i gruppi etnici e prestando al contempo la dovuta attenzione alla molteplicità di esperienze e voci all’interno di ciascuna parte. Se la presenza della Zona Morta creò un terribile abisso tra le interpretazioni ufficiali delle due parti, questi incontri fornirono opportunità di interscambi reciproci, dialogo e dibattiti. A partire dalla fine del 1997, Denktash, il leader turco-cipriota ha proibito virtualmente la partecipazione dei turco-ciprioti all’interno di questi gruppi, permettendo solo un numero estremamente limitato di incontri.17
Il progetto bilaterale di cooperazione più esteso e meglio riuscito sull’isola dopo il 1974 ebbe luogo a Nicosia. Esso coinvolse le due entità incaricate della co-gestione del sistema fognario della città nella sua interezza. I leader delle due comunità di Nicosia, il greco-cipriota Lellos Demetriades e il turco-cipriota Mustafa Akinci, riuscirono a cooperare nell’ambito di questo progetto, malgrado le tante difficoltà e i numerosi intoppi. Essi crearono altresì un piano generale per lo sviluppo complessivo di Nicosia, che traeva parzialmente ispirazione da una visita congiunta a Berlino, dove si trovarono faccia a faccia con i loro stessi problemi sia nel presente, che nel futuro, qualora fosse avvenuta una riunificazione. Il piano generale di Nicosia lotta con tutte le proprie forze per creare i parametri per lo sviluppo compatibile delle due parti di Nicosia. Per quanto riguarda il futuro, esso include due scenari: uno di una Nicosia divisa e un altro di una Nicosia unita.18
Se le due parti hanno difficoltà ad accordarsi riguardo alla mappa di Nicosia al di sopra del suolo, la mappa fognaria del sottosuolo è accettata invece da entrambe le parti. Nicosia, divisa in superficie dalla guerra e dal conflitto, è unita nel sottosuolo da un progetto di cooperazione interetnica. La Hermes Street (il fiume-ponte divenuto successivamente un luogo di divisione al di sopra del suolo, sottolineato dalla Green Line) si estende al di sopra del vecchio letto del fiume, che in questo progetto di cooperazione per la gestione del sistema fognario, è il vettore principale della sporcizia della città, nonché un elemento ponte all’interno della divisione etnica.

Poscritto (gennaio 2006): dentro e fuori

Il 1° maggio 2004, Lefkosia/Lefkosha è divenuta la capitale di uno degli ultimi paesi entrati a far parte dell’Unione Europea, allorché Cipro è diventata il nuovo stato membro numero nove e due terzi, e non decimo, dal momento che in pratica ha fatto ingresso nell’Unione Europea solo la parte greco-cipriota. Così, mentre Lefkosia diveniva parte dell’Unione Europea, Lefkosha ne restava fuori, nonostante i turchi-ciprioti avessero votato a favore del piano proposto dalle Nazioni Unite per una risoluzione comprensiva del problema di Cipro e la parte greco-cipriota avesse respinto il piano.19 La Zona Morta divenne il confine più orientale dell’Unione Europea, un confine problematico che non ha consentito all’EU di delimitare se stessa con precisione all’est.
Circa un anno prima, nell’aprile del 2003, la leadership turco-cipriota guidata da Rauf Dentkash aprì i primi checkpoint sulla Zona Morta sotto la pressione esercitata da massicce dimostrazioni condotte dalla sinistra turco-cipriota e da altre forze liberali. Nonostante lo scoraggiamento iniziale da parte delle autorità di entrambe le parti, la gente scelse di attraversare i confini in grandi masse. In pochi giorni Lefkosha/Lefkosia riacquistò le proprie caratteristiche legate al suo passato multietnico allorché gli appartenenti alle due comunità tornarono a riunirsi. Considerati i grandi sconvolgimenti emotivi che accompagnarono questi attraversamenti dall’una all’altra parte, la mancanza di episodi di violenza fu considerevole. Improvvisamente, quei luoghi irraggiungibili, luoghi di ricordi per alcuni, di mistero per altri, divennero accessibili, poiché ora si potevano calpestare quei 150 metri precedentemente proibiti che avevano trasformato l’altra parte nel luogo più distante sulla terra.
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Il Professor Yiannis Papadakis ha ricevuto il Ph.D. dalla Cabridge University e insegna ora presso il Department of Social and Political Sciences della University of Cyprus. Ha pubblicato numerosi articoli sulla memoria sociale e sul nazionalismo a Cipro. È autore di “Echoes from the Dead Zone: Across the Cyprus Divide.”

Note conclusive

1 Questo articolo fu pubblicato per la prima volta in Germania a Welz, Gisela e Ilyes, Petra (ed.): Zypern. Gesellschaftlische Öffnung, europäische Integration, Globalisierung. Kulturanthropologie Notizien, Frankfurt am Main, 2001. Fu scritto nel corso del 2000, prima dell’apertura dei checkpoint di Cipro nell’aprile del 2003, e prima dei successivi sviluppi politici delineati nel poscritto.
2 Un’altra Hermes Street situata altrove ha una storia simile, sebbene meno tragica. È una delle strade della città mista di Komotini nel nord della Grecia. Anch’essa è costruita sul vecchio letto del fiume e divide all’interno di Komotini la sezione di etnia prevalentemente greca dalla sezione di etnia prevalentemente turca. È altresì un luogo movimentato di mercato in cui la gente si unisce per scopi commerciali.
3 Per gli sviluppi sulla questione delle municipalità e delle politiche coinvolte si veda Markides (1998).
4 Si veda Patrick (1976) per un esame dettagliato del conflitto interetnico che ebbe luogo negli anni Sessanta.
5 Per una più ampia discussione su colori, simbolismi e relativi cambiamenti successivamente al 1974 si veda Papadakis (1993: 129-173). A tale proposito si dovrebbe notare che mentre la combinazione di colori è tipica dei simboli greco-ciprioti del periodo successivo al 1974 (ad esempio la combinazione di colori della Cyprus Airways), la spiegazione alla base dello loro scelta in questo caso particolare si discosta da quella proposta dall’autore. Il blu si dice sia stato scelto come il colore del cielo e il giallo come il colore delle mura veneziane.
6 Raramente, e in un tentativo di significare eccellenza o superiorità, Cipro può venire inserita in un contesto Medio Orientale. Un negozio a Nicosia Sud viene pubblicizzato dalla dicitura “The Largest Darts Shop in the Middle East” [il più grande negozio di freccette dell’Estremo Oriente]. Analogamente, la costruzione di un nuovo centro di atletica a Nicosia Nord venne accompagnata da una copiosa retorica su come esso fosse il “migliore del proprio genere in Estremo Oriente”.
7 Per una storia generale della cartografia di Nicosia si veda Stilianou and Stilianou (1989). Per una discussione critica sulla mappe di Nicosia, sulle loro tendenze, i loro orientamenti politici espliciti e impliciti si veda Zesimou (1998).
8 Si veda ad esempio la pubblicazione distribuita dal Greek Cypriot Public Information Office “Muslim Places of Worship in Cyprus” [Luoghi musulmani di culto a Cipro], in cui vengono descritti dettagliatamente vari di questi luoghi nel sud e in cui gli stessi vengono presentati in ottime condizioni di conservazione, mentre vengono accusate le autorità turco-cipriote di negligenza nei confronti dei monumenti greci e ortodossi (Association of Cyprus Archaelogists 1990). Per una discussione critica si veda Sant Cassia (1991).
9 Queste osservazioni sono tratte da Zesimou (1998), il cui articolo presenta un maggior numero di analisi sulle raffigurazioni delle mura e numerosi esempi di mappe.
10 Canefe (2001) suggerisce tuttavia che dato il carattere problematico del retaggio ottomano nella storiografia turco-repubblicana, la condizione privilegiata degli Ottomani a Cipro in generale e a Nicosia in particolare può essere considerata come una particolarità cipriota. Per una discussione dettagliata dell’eredità ottomana di Nicosia da una prospettiva turco-cipriota in cui vengono messi in luce tutti questi luoghi si veda Gurkan (1985). Per la copertina del suo libro su Nicosia egli scelse una raffigurazione di Nicosia realizzata nel 1730 da un viaggiatore straniero, raffigurante la città fortificata esclusivamente dominata dalle moschee (e dagli alberi di palma). Per una discussione piuttosto esoticizzante sugli hamam e sui khan da parte di un autore greco-cipriota si veda Michaelidou (1977, pagg. 79-90).
11 Per una discussione più dettagliata di questi musei si veda Papadakis (1994).
12 Per una descrizione del Museo della Barbarie si veda altresì Killoran (1994, pagg. 201-219).
13 Per una discussione critica più ampia di Auge e De Certeau in riferimento a Nicosia si veda Papadakis (1998).
14 Sul trasferimento dei profughi turco-ciprioti si veda Scott (1998).
15 Si tratta di una categoria diversa da quella dei coloni turchi, decine di migliaia di persone originarie della Turchia che sono venute a vivere a Cipro del Nord. Sulla questione delle donne straniere originarie dell’Europa dell’Est o dell’Unione Sovietica si veda Scott (1995).
16 Sui sentimenti negativi generali nei confronti dei lavoratori o degli immigrati originari della Turchia si veda Scott (1995, pagg. 391-392).
17 Per una discussione più estesa sui vari incontri bilaterali, i loro obiettivi e la storia del loro sviluppo si veda Hadjipavlou-Trigeorgis (1998).
18 Per il progetto fognario e il piano generale di Nicosia si veda Demetriades (1998). Per una discussione più ampia sulla gestione delle risorse transconfine a Nicosia si veda Hocknell (1998).
19 Per un’analisi del referendum sul piano proposto dalle Nazioni Unite si veda Jakobbson Hatay (2004).

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